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Teatro
Metti una sera all'Opera Puccini e Dallapiccola, con tutto che va a meraviglia
Il Trittico “scomposto” dell’Opera di Roma apre delle prospettive interessanti. Fra capolavori e grandiose interpretazioni di una compagnia assemblata con cura
Detto così, sembra il tiramisù scomposto nelle trattorie con ambizioni gourmet. Invece il Trittico appunto “scomposto” dell’Opera di Roma apre delle prospettive interessanti. Il Puccini uno e trino è stato di volta in volta abbinato con un’altra opera di un altro autore: Gianni Schicchi con Ravel, Il tabarro con Bartók e, terza e ultima puntata, Suor Angelica con Il prigioniero di Dallapiccola, scelta insolita ma non pretestuosa. Si parla sempre, dichiara il regista Calixto Bieito, “di annientamento delle persone da parte di regimi autocratici”.
La serata si è rivelata in effetti memorabile. Il direttore musicale della casa, Michele Mariotti, firma un capolavoro. In Suor Angelica, l’ambiente conventuale, che peraltro Puccini conosceva benissimo perché una delle sue sorelle dai nomi impossibili, Iginia, si era fatta suora, è raccontato da un’orchestra lievissima, morbida, leggera e tuttavia percorsa da un’angoscia che inizia a montare per esplodere nel duettone con la zia tremenda, nel suicidio di Angelica e nel miracolo che, forse anche perché in scena non si vede (niente Madonna né apparizione del figlio della colpa) risulta molto poco consolatorio, altro che le pucciosità pucciniane d’antan, quindi anche più lacrimogeno.
Straordinario, poi, Il prigioniero. E’ un capolavoro che si ascolta poco rispetto al suo valore, e suona sempre un po’ algido, come se la ragnatela di simmetrie e geometrie dodecafoniche di Dallapiccola, non esente nemmeno da una certa simbologia numerologica (sette personaggi e sette parti del dramma) risolvesse tutta l’opera in questo rigoroso ésprit de géometrie. Qui Mariotti è invece da subito tesissimo, incalzante, molto teatrale: e si capisce allora che in realtà questa musica così razionale e contrappuntistica è tutta costruita sulla parola, insomma è eminentemente teatrale. E quindi mai ci aveva scossi così.
Lo spettacolo di Bieito è notevole. Suor Angelica si svolge tutta nel giardino del convento. Ci sono beninteso alcune bieitate di difficile decifrazione, come la badessa assatanata che si butta addosso ad Angelica o la Zia Principessa che, compiuto il misfatto, se ne resta là, presso a quei fior, non si capisce bene a far che. Ma il duetto fra lei e Angelica è grandissimo teatro, una nota un gesto, insomma il teatro (sottolineo: teatro) musicale che ci piace e che in Italia si vede così poco. Nel Prigioniero, poi, non c’è una sbavatura, anche perché in sostanza in scena c’è quasi niente: soltanto recitazione, meravigliosa, e insomma teatro teatro teatro. Ovvio che non sarebbe possibile senza una compagnia assemblata con cura. Certo, Corinne Winters non ha esattamente la voce che un appassionato italiano si aspetta per Angelica, e certi suoni un po’ fissi che nella sua celebre Kat’a Kabanova proprio al Costanzi non davano fastidio, in Puccini si notano; viene però da aggiungere con gli autoctoni “ma che ce frega” davanti a questa bravura scenica e a questa perfetta caratterizzazione del personaggio.
Molto bene anche Marie-Nicole Lemieux come Zia, vocalmente all’opposto del solito mezzosopranone poitriné e interprete raffinatissima, e il resto del convento. Quanto a Dallapiccola, detto che sia la madre, Angeles Blancas, che il Carceriere e Grande Inquisitore, John Daszak, sono eccellenti, è l’upgrade di Mattia Olivieri, il suo definitivo passaggio da grande promessa a star consacrata. Ha tutto: presenza scenica, doti d’attore, carisma, musicalità, bella voce e una dinamica che va dal sussurro al grido: ma, sempre, cantando. Il suo “Fratello!” non ce lo scorderemo tanto presto. Gran-dio-so.

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