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il libro
Riscoprire il costituzionalismo contro l'erosione del rule of law
Una riflessione per contrastare il potere assoluto e riaffermare la centralità delle costituzioni nelle democrazie occidentali. L'ultimo libro del professore Eugenio Capozzi
La tesi che affiora dalla godibilissima lettura del libro di Eugenio Capozzi Libertà o potere. Ascesa e declino delle istituzioni (Liberilibri) è che “il mito dello Stato è il padre e la premessa di tutte le ideologie”. L’autore sostiene che l’emergere della “religione politica”, che pone al centro quella “macchina perfetta” che Hobbes chiama il “dio mortale”, al quale è affidata la vita dei sudditi, in epoca contemporanea si è manifestata sotto forma di “culto secolare”. Un culto che si nutre di ciò che il politologo statunitense Richard J. Neuhaus ha chiamato “naked public square”; una nuda piazza pubblica, liberata dalla trascendenza, nella quale l’individuo, alienato e privato dell’imago Dei, potrà essere ri-formato a immagine e somiglianza del dio mortale. Il libro si snoda in dieci agili capitoli nei quali l’autore ripercorre le tappe storiche della nozione di costituzione. Ai fini di questa presentazione, possiamo articolare, grosso modo, la storia in tre grandi periodizzazioni: la costituzione degli antichi, la costituzione premoderna o medievale, la costituzione moderna.
Con un grande tasso di approssimazione, si può dire che la costituzione degli antichi esprime il tentativo di operare un maestoso progetto di disciplinamento sociale, tutto orientato a impedire che l’eventuale detentore unico del potere si trasformi in tiranno, che le aristocrazie diventino oligarchie e che il popolo si faccia trascinare dai demagoghi. Quando parliamo di Medioevo o di pre-modernità dovremmo sempre ricordare che ci riferiamo a un periodo lungo circa dieci secoli, irrisolvibile in nessuna sintesi. L’unica cosa che possiamo dire è che questo esteso periodo della storia dell’umanità, in termini politici, è caratterizzato da una irriducibile poliarchia istituzionale e, dunque, dall’impossibilità di riconoscere un potere sovrano. L’universalismo dell’impero e del papato deve fare i conti con le rivendicazioni autonomistiche delle comunità ecclesiali, monastiche, cittadine, feudali; insomma, un arcipelago di poteri che rende il Medioevo uno dei momenti più interessanti e prolifici sul piano della teoria politica.
L’equilibrio medievale si rompe con l’ingresso nella modernità e la nozione di potestas temperata sarà sostituita da quella di maiestas summa legibusque soluta e nel “dio mortale” di Thomas Hobbes. Si fa strada la nozione di sovranità e si assiste alla rottura dell’impianto teorico che aveva consentito alla costituzione medievale di imporre la monarchia temperata come forma di governo ideale. In breve, con un enorme salto temporale, l’epoca moderna e l’area europeo-continentale sono dominate dall’idea che lo Stato deve porsi l’obiettivo di curare al massimo grado il valore politico dell’universalità e, a tal compito, è deputata la costituzione. Ne consegue, giungendo a Hegel, che lo Stato è l’unità che omogeneizza la pluralità dei poteri, infondendo “il sentimento e il senso dello Stato”. Per questa ragione, afferma l’autore, “nell’età moderna il costituzionalismo sopravvive e si ridefinisce come teoria e pratica della resistenza e alternativa al potere assoluto”. A questo punto della ricostruzione storiografica, Capozzi introduce le grandi questioni che interessano l’organizzazione del potere politico nelle nostre società occidentali e tendenzialmente liberaldemocratiche. In particolare, l’autore presenta la prospettiva della cosiddetta identity politics, caratterizzata dalla tendenza a equiparare desideri soggettivi e diritti e dalla tendenza a far valere le affirmative actions, ossia i provvedimenti indirizzati a favorire un riequilibrio sociale, culturale, professionale, civile su base identitaria.
La tesi di Capozzi è che la crisi degli attuali regimi liberaldemocratici si spiega a partire dall’erosione della nozione di costituzione basata sul rule of law, accompagnata dall’emergere di ideologie, che, pur individuando nuovi soggetti oppressi e oppressori, rispondono sempre alla stessa dialettica marxiana tra classi dominanti e sfruttate. Si tratta di un’erosione della nozione liberale di costituzione, fondata sui freni e contrappesi, rispetto alla quale tendenza l’autore contrappone una rinnovata resistenza per ricongiungere le origini culturali, etiche e religiose del costituzionalismo e riaffermare “il ruolo che le costituzioni assumono nella dialettica politica, giuridica, istituzionale e culturale dell’Occidente contemporaneo”.

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