
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il principe Alberto II di Monaco in occasione dell'inaugurazione della mostra (2 aprile 2025, foto LaPresse)
Arte rigogliosa
La mostra Barocco globale racconta il tempo in cui Roma era il centro del mondo
Alle Scuderie del Quirinale, un fluviale incedere di singole storie, bizzarre e rappresentative dello spirito del tempo. Provenienti direttamente da una Roma papalina città aperta, crocevia del liberoscambismo culturale
Parlare di arte mentre l’umanità è preda d’un delirante caos? Sì, perché nell’arte non solo s’è sempre sedimentata la perenne condizione di crisi e di disordine del mondo, ma allo stesso tempo in essa si ristabilisce un ordine nelle informi turbolenze della storia. La scomposta e inclemente grafia del presente si ricompone in leggibili sintesi figurative (o musicali). E poi Barocco globale alle Scuderie del Quirinale è mostra d’arte incarnata in storia, con l’ostinata ambizione di raccontare l’Urbe – talora descritta come snodo della rete fognaria mondiale (“chiavica der monno”) – come snodo della rete di relazioni mondiali nel Seicento, secolo strapazzato e lunare, in cui l’Orbe conosciuto girava su un perno insieme stabile e mobile: la Roma papale. Da tempo ormai accade l’inverso, l’Urbe gira attorno all’Orbe, tranne a ogni morte di papa. Non dunque un artista o una corrente artistica sono il focus dei curatori, Francesco Freddolini e Francesca Cappelletti, bensì una conditio: quella della Città eterna crocevia mondiale della globalizzazione (che alla catholica è consustanziale).
La mostra che ne viene fuori è un fluviale incedere di singole storie, bizzarre e rappresentative dello spirito del tempo. Chi può immaginarsi un papa così autocelebrativo e di gran pompa come Paolo V Borghese – il suo nome è inciso a caratteri cubitali sulla facciata di San Pietro – amorevolmente chinato al capezzale del morente ambasciatore congolese Antonio Emanuele Ne Vunda giunto stremato a Roma per chiedere il suo appoggio contro le prepotenze coloniali iberiche? Con il suo busto in marmi policromi ordinato dal Papa, scolpito da Francesco Caporale e conservato in Santa Maria Maggiore, si apre il percorso della mostra, un ardimentoso trekking storico-artistico lungo il rigoglioso pendio barocco di Roma.
Seconda statio gloriosa, il ritratto realizzato dal magistrale Antoon van Dyck di un pittoresco personaggio sfarzosamente abbigliato e col capo sormontato da un voluminoso turbante: è sir Robert Shirley, ambasciatore inglese in Persia e giramondo insieme con sua moglie, la circassa Theresia, anch’essa sontuosamente vestita all’orientale e pure lei in mostra effigiata dal fiammingo. I due, entrambi cattolici, lei devota ai carmelitani, sono sepolti a Santa Maria della Scala a Trastevere: Roma era la loro dimora ideale, per fede e spirito cosmopolita. In una incisione coeva, in mostra, si vede lui ricevuto da Paolo V, con abiti e turbante di foggia islamica, cosa che non gli era assolutamente consentita alla corte reale inglese.
Il modello in terracotta della statua del Rio della Plata, leggendaria figura della berniniana Fontana dei Quattro Fiumi – quella del braccio alzato in spregio alla borrominiana chiesa di Sant’Agnese (fake news ben escogitata) – ha il compito di raccontare ai visitatori la tratta intercontinentale degli schiavi: perché altrimenti raffigurare un uomo dai tratti negroidi, con tanto di anello alla caviglia, in rappresentanza dell’America latina? Della turpe pratica c’era evidente e diffusa contezza nella Roma del primo Seicento, planetario hub di notizie… L’Urbe riceveva ma anche diffondeva impulsi: ci si può commuovere davanti al rotolo di seta di un ignoto pittore cinese del XVI-XVII secolo, proveniente dal Field Museum di Chicago, che presenta una delicata Madonna con Bambino chiaramente modellata sulla Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore di bergogliana (non solo) venerazione. E che dire del Don Diego di Nicolas Poussin, celebre elefante asiatico che visse a quel tempo a Roma, a Palazzo Venezia, esotica presenza animale, “maravigliosa” curiosità visibile ai romani disposti a pagare un Giulio? L’artista francese gli mise in groppa Annibale su uno sfondo montagnoso, ma il modello fu proprio il pachiderma straniero.
Ogni singolo pezzo della mostra porta acqua all’idea-guida di Roma papalina città aperta, crocevia del liberoscambismo culturale, El Dorado dei rapporti diplomatici, Pantheon terracqueo delle arti. Fatto ribadito d’altronde, a qualche decina di metri dalle Scuderie, dallo stesso Palazzo del Quirinale, portato a termine dallo strabordante Paolo V che fece affrescare le pareti della Sala dei Corazzieri (Sala Regia) con un ciclo delle udienze diplomatiche straniere del suo tempo con delegazioni giapponesi, africane, armene. Una mostra-manifesto in controtempo col pendolo odierno, tutto lanciato contro il mondo globale a favore dei mondi recintati: ma lo spirito della Roma cristiana, vocato ad un liberale import-export artistico-culturale, rifugge dal protezionismo identitario e bandisce ogni dazio mentale.