(foto LaPresse)

I numeri catastrofici sulle nascite in Italia nel primo semestre dell'anno

Roberto Volpi
I nuovi dati mettono ancora di più in rilievo l’impossibilità, per il governo e le istituzioni italiane, di continuare a vivacchiare su una linea sostanzialmente dimentica del problema. E’ tempo di fare sul serio.

La discesa è catastrofica nel senso pieno della parola, molto più forte del previsto. Le nascite dei primi cinque mesi del 2016 (gennaio-maggio) sono state 184.221, 11.797 in meno delle nascite dei primi cinque mesi del 2015, pari al 6 per cento in meno. Una contrazione che corrisponde a 29 mila nascite in meno nell’anno e dunque a un numero di nascite che alla fine di quest’anno con ogni probabilità non arriverà neppure a 460 mila, per un quoziente di natalità che, quando andrà bene, si fermerà a 7,6 nascite annue ogni 1.000 abitanti, una natalità che non era pronosticabile così bassa (un quarto meno della mediocrissima natalità europea, una differenza enorme) neppure negli anni della crisi più nera.

 

Il fattore ancora più grave di questa ulteriore caduta di una natalità che ormai sembra sprofondare verso il nulla assoluto è la perfetta distribuzione su tutto il territorio nazionale. Cosicché la natalità perde in questi primi cinque mesi del 2016 rispetto ai primi cinque mesi del 2015 il 5,9 per cento al nord, il 6,8 per cento al centro e il 5,7 per cento nel Mezzogiorno, con differenze minime tra aree regionali, a parte una modesta accentuazione nel centro del paese. Segno che agiscono fattori profondissimi, radicati e generalizzati che occorre cominciare a individuare meglio e rimuovere. Anche alla luce di questi nuovi, drammatici dati, si rivela l’irresponsabilità mista a un insopportabile snobismo di tutte le polemiche contro il Fertility Day, manifestazione che se non altro ha riportato al centro della discussione quello che ormai si presenta come il problema cardine del paese, il primo in ordine di importanza e urgenza.

 

Ma i nuovi dati mettono ancora di più in rilievo l’impossibilità, per il governo e le istituzioni italiane, di continuare a vivacchiare su una linea sostanzialmente dimentica del problema o che, al più, al problema dedica qualche misura contingente senza respiro né profondità culturale. E’ tempo di fare sul serio, di rimboccarsi le maniche, di trovare le risorse, e varare un piano per la ripresa della fecondità e della natalità, ovvero per rilanciare la funzione riproduttiva delle coppie e tornare a fare un po’ di figli. Così non si può continuare. Il tempo sta per scadere, se già non è scaduto.

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