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La post-verità dei dati Istat sul mercato del lavoro
Ad ogni bollettino seguono polemiche e confusione. Ecco il fact checking dei numeri relativi a novembre 2016. Con un consiglio: evitare risposte semplici a scenari complessi
Da tre anni, ed in particolar modo dall’emanazione del Jobs Act, ogni pubblicazione di dati sul mondo del lavoro è causa di polemiche e confusione. Da questo punto di vista il bollettino unico di Istat, Ministero del Lavoro e Inps avrebbe dovuto semplificare il quadro e fornire risposte univoche, un obiettivo ad oggi lungi dall’essere raggiunto. Ennesimo casus belli è stata la pubblicazione da parte del nostro istituto nazionale di statistica dei dati relativi a novembre 2016. Su base annua, in sintesi: più 201 mila occupati, meno 469 mila inattivi (cioè coloro che non ricercano un’occupazione) e più 165 mila disoccupati.
Numeri che sembrerebbero far ben sperare. Tanto che il Partito Democratico ha fin da subito salutato con soddisfazione i nuovi dati statistici, attribuendone - come da anni a questa parte – il merito alla riforma del lavoro del governo Renzi. "Quando così tante persone che si erano rassegnate decidono di riiniziare a cercare lavoro è una bellissima notizia, si chiama fiducia nel futuro", mentre "le polemiche su dati Istat lavoro e su Jobs Act sono davvero strumentali". Infatti alle critiche di lievi flessioni su base mensile, i senatori PD hanno replicato che lo spettro da mettere sotto la lente di ingrandimento è quello annuale di medio periodo.
Ebbene, proviamoci: anche leggendo le variazioni su base annua in realtà lo scenario del mercato del lavoro non appare poi così florido. Il dato che dapprima salta all’occhio è relativo alla ripartizione anagrafica delle variazioni di posti di lavoro. Se infatti l’aumento occupazionale totale è – come già scritto – di 201 mila unità, i lavoratori over 50 guadagnano ben 453 mila posti di lavoro in più. I lettori meno avvezzi alle dinamiche del mercato del lavoro potrebbero trovare una contraddizione in questi numeri: non è così, poiché i lavoratori maturi crescono più del doppio rispetto al totale riassorbendo la perdita sostanziale di migliaia di posti di lavoro in tutte le altre fasce d’età. Non è quindi un caso se, su base annua, fra gli over 50 l’occupazione cresca del 2,1 per cento mentre fra i 25 ed i 34 anni decresca di mezzo punto percentuale. Dati che pur se corretti dalle dinamiche demografiche – per il semplice fatto che i giovani sono sempre di meno e gli anziani sempre di più – mantengono la propria rilevanza, come mostra questa tabella del quotidiano La Repubblica.
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Ma le cattive notizie non si fermano qui. Senza candidarsi al titolo di gufo, forti dubbi sono legittimi anche per quanto riguarda la riduzione degli inattivi. A rigor di logica infatti è chiaro – come sostiene il Partito Democratico – che un minor numero di inattivi possa significare il rientro nel mercato del lavoro di individui scoraggiati; coerente con questa narrazione è l’aumento della disoccupazione, che dimostrerebbe l’effettivo aumento della domanda di lavoro. Tuttavia i dati, purtroppo, smentiscono in buona parte lo storytelling. Per quanto riguarda la riduzione degli inattivi, essa non è del tutto dovuta al ritorno nel mercato del lavoro; sono infatti 142 mila gli inattivi in meno per pensionamento, un effetto dovuto anche in gran parte all’aumento dell’età media e dell’età pensionabile. D’altra parte questo effetto si avrà, anche se non quantificabile, pure sugli occupati se come mostra Istat in questo grafico i pensionati dal 2012 ad oggi sono calati in modo sostanziale:
Come ben spiega Mario Seminerio, commentatore economico su Radio24 e autore del blog liberista phastidio.net, siamo di fronte ad un effetto vasca, per cui "l’invecchiamento della popolazione e l’irrigidimento dei criteri di accesso alla pensione spiegano una parte non marginale dell’aumento del numero di occupati".
Sul fronte disoccupazione invece i numeri li fornisce direttamente Istat. Se in un anno – dal terzo trimestre 2015 al relativo trimestre 2016 – si è gonfiata di 131 mila unità, la componente di disoccupazione legata all’uscita dall’inattività è rimasta stabile: poco più di mezzo milione sia nel penultimo trimestre del 2015 che 2016. È lievitato invece, seppur di poco, il numero di coloro che – compiendo il percorso inverso – si trovano disoccupati dopo essere stati espulsi dal mondo del lavoro: + 44 mila in un anno. Mentre aumentano più del doppio i disoccupati senza esperienza lavorativa, quindi i giovani, ancora una volta. Segnali di una situazione più precaria rispetto ad un anno fa.
Dunque, benché il governo e la sua maggioranza esaltino ogni movimento del mercato del lavoro – talvolta a ragione, altre volte meno – la soluzione è soltanto una: non fornire risposte semplici a scenari complessi. Perché la post-verità è dietro l’angolo, per tutti.
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