Foto LaPresse/Fabio Cimaglia

In Italia le molestie diminuiscono, nonostante la fobia del #metoo

Simonetta Sciandivasci

Negli ultimi vent'anni i casi di soprusi fisici e verbali nei confronti delle donne sono in costante calo, ma c'è ancora molto da fare. Ecco cosa dicono i dati dell'Istat 

L'Istat ha diffuso i risultati dell'indagine sulle molestie a sfondo sessuale e i ricatti sessuali (è uno dei moduli della rilevazione sulla sicurezza dei cittadini, cui si procede a cadenza quinquennale). I dati si riferiscono, per la prima volta, anche agli uomini e sono stati raccolti tra il 2015 e il 2016 (edizioni precedenti: 1997-98; 2002; 2008-2009). E' risultato che otto milioni 816mila donne tra i 14 e i 65 anni, hanno subito una qualche forma di molestia sessuale nell'arco della propria vita: 118mila di loro (15,4 per cento) ne è stata vittima negli ultimi tre anni. Gli uomini, invece, sono tre milioni 754mila (un milione e 274mila negli ultimi tre anni). Nella stragrande maggioranza dei casi, che le vittime siano donne o uomini, i responsabili sono di sesso maschile: rispettivamente, oltre il 90 per cento e oltre l'80 per cento dei casi. Il 76,4 per cento delle donne considera le molestie subite molto o abbastanza gravi, mentre più della metà degli uomini minimizza. L'incidenza più alta è fuori casa e non dentro: più della metà delle volte, i molestatori sono estranei o comunque non fanno parte della sfera affettiva della vittima.

   

Altri, invece, sono i numeri sul lavoro: un milione e 173mila donne sono state molestate per ottenere, mantenere o far progredire il posto di lavoro (167mila negli ultimi tre anni). Quasi nessuna di loro si è rivolta alle forze dell'ordine. La percentuale più alta di donne vittime si rileva al Centro Italia e al Nord-Est, ma al Sud sono più frequenti le molestie perpetrate tramite social network. Quelle fisiche, invece, avvengono in misura maggiore nei grandi centri abitati. Oltre due milioni di persone dichiarano di aver subito violenze a sfondo sessuale prima della maggiore età, soprattutto da sconosciuti: il 62,1 per cento degli uomini e il 42,7 per cento delle donne non ne ha mai parlato con nessuno, neanche con le forze dell'ordine. Lazio, Toscana, Basilicata e Liguria sono le regioni con il più alto tasso di donne che hanno subito un ricatto o una molestia sul luogo di lavoro.

   

Forniti i numeri essenziali, l'Istat procede a una comparazione con i numeri delle precedenti indagini e segnala un calo generale e, soprattutto, costante, delle molestie a sfondo sessuale dal 1997 al 2016, ma nessuna variazione sensibile del numero di ricatti sessuali sul posto di lavoro. Pur consapevoli della gravità di ciò di cui sono state vittime, le donne continuano a trovare grandi difficoltà nel raccontare a qualcuno gli episodi di violenza o intimidazione o ricatto e, ancor più, a denunciarli alle autorità competenti, verso le quali (meglio: verso le ridotte possibilità di agire a disposizione delle quali) nutrono una sfiducia pressoché totale. Le aggressioni fisiche, rispetto al ‘97-‘98, sono addirittura dimezzate. Le persecuzioni tramite telefono sono meno di un terzo rispetto a vent'anni fa.

   

C’è ancora molto da fare. I numeri non sono mai sufficienti a descrivere pienamente la realtà e, anzi, possono nasconderne i risvolti peggiori. Ciò premesso, non possiamo ignorare che il quadro dipinto dall'Istat è piuttosto diverso da quello, a tinte fosche, che da molti mesi a questa parte viene presentato all'attenzione dell'opinione pubblica.

   

Dobbiamo interrogarci sul perché esista una così abissale differenza tra i numeri di un fenomeno – e le progressioni civili che essi tracciano – e la realtà percepita di quel fenomeno. Da una parte, le percentuali (altissime) di donne che non hanno denunciato alle autorità competenti ci aiutano a presumere che esistono chissà quante altre realtà sommerse, ma dall'altra ci dicono anche che esiste una specie di ostinazione a non voler credere che la reattività agli abusi sta radicalmente cambiando. Lo squilibrio tra l’inasprimento della violenza misogina denunciato di recente e dati come questi di oggi, è forte abbastanza da farci ritenere che esiste una percezione drogata ed eccitata del problema, che non può che ripercuotersi a svantaggio delle vittime.

   

Sarà interessante scoprire, alla prossima indagine Istat, se il #metoo avrà avuto un impatto concreto, registrabile anche dagli esecrati numeri, sulla riduzione delle molestie, sulla consegna dei molestatori alla giustizia, sullo stravolgimento del dato culturale che, in parte, le aizza.

   

Se concordiamo sul fatto che uno degli elementi più gravi rilevati dall'Istat è la sostanziale incapacità delle donne di denunciare, è complicato capire in quale maniera un racconto collettivo virtuale possa debellare quella incapacità: è più facile, invece, sospettare che possa persino irrobustirla. Senza considerare che, in poche settimane, stupro, molestia, avances sono stati sussunti in un unico, imperdonabile reato: questo quanto drogherà le rilevazioni Istat del futuro? Quanto farà maturare la consapevolezza delle vittime? Quanto inibirà, anziché educare, i carnefici? È piuttosto incontestabile che il clima che il #metoo ha contribuito a instaurare rischia di spingerci ad archiviare qualsiasi dato di realtà, in favore di una precostituita vittimizzazione femminile, anch'essa nemica della capacità di chiedere e ottenere giustizia. A Rivista Studio, Mette Leonard, studiosa danese, ha detto: "La sfera politica, nella civiltà occidentale, è apparentemente dominio di uomini bianchi di destra; ma le donne hanno moltissimo potere nella sfera culturale: e la sfera politica è sempre più influenzata e controllata da quel che accade in quella culturale. Solo che questo potere e questa capacità di pressione non vengono riconosciuti". Domandiamoci cos'altro non siamo disposti a riconoscere.

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