Le 242 Americhe

Eugenio Cau
Una rassegna delle copertine dei principali magazine internazionali. New Statesman, Economist, Bloomberg businessweek, Financial Times Magazine, Time, New York Times Magazine

    Se vi interessa la politica americana, o l’America in generale, andate subito a vedere l’ultimo speciale elettorale di Bloomberg Businessweek. I giornalisti della rivista, in un’operazione che è mastodontica perfino per i loro standard, hanno viaggiato in lungo e in largo per raccontare le divisioni dell’America che si appresta a votare, per individuarne ben 242. Hanno raccontato, intervistato e fotografato, e poi raccolto tutto il materiale, oltre che sulla rivista, in un’opera digitale ammirevole. C’è da cliccare, guardare, leggere per mezza giornata.

     

     


     

    A proposito di elezioni americane. Una delle grandi poste in gioco a questa tornata elettorale sarà il voto dei latinos. Dovrebbero essere in stragrande maggioranza per Hillary Clinton, in teoria, ma nella realtà le cose sono molto più complicate di quel che sembra.

     

     

     

     


     

    Il Partito laburista britannico è morente, la rosa rossa che ne è il simbolo sta sfiorendo, e l’assassino ha un nome. Il segretario Jeremy Corbyn, che ha ormai dato per archiviata la sfida interna della parte più liberale del suo partito, benché le primarie siano ancora da celebrare. E’ il New Statesman a raccontare, appunto, il crollo della “generazione d’oro” del Labour, formata tra gli altri dai fratelli Miliband, soppiantati dal vecchio Corbyn.

     

     

     


     

    In Europa non li conosciamo tutti, ma anche in America i comici sono tra gli ultimi veri opinionisti. Gli Stati Uniti hanno una lunghissima tradizione di “Late Show” di vario tipo e di ruvida satira politica, ma mai come in queste elezioni, racconta Time, i grandi comici televisivi d’America sono schierati. Tutti da una parte, contro Donald Trump.

     

     

     

     


     

    Come giganti che dall’alto schiacciano gli esseri umani, le grandi compagnie tecnologiche della Silicon Valley (e non solo) sono ormai diventati troppo grandi per essere un beneficio per il mercato e la competitività. Bisogna elogiare i loro grandi risultati, ma guardarsi dal rischio che diventino una nuova classe di robber barons, scrive l’Economist.

     

     

     

     

    • Eugenio Cau
    • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.