Il disgelo tra Trump e Kim e il ritorno di Tiger Woods. Di cosa parlare a cena
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Il tweet del giorno non riguarda un tema che sfonderà nelle cene, ma leggetelo come esempio di comunicazione e non tanto per l'argomento in sé (che comunque è la contestazione alla decisione di Trump sui nuovi dazi, cioè tariffs). Ah l'autore è il presidente di American for tax reform
Va bene il governo è il governo e certamente ne va fatto uno prima o poi ma a cena se provate a tirar fuori il tema, anche con lo spirito ironico e indagatore del "vediamo come va a finire", per voi sicuramente andrà a finire maluccio, messi a un lato della conversazione, bocciato come tardi emuli del talk-show ma fuori dalla televisione. Che poi si va anche verso il primo fine settimana di drole de gouvernement, quindi lo spleen è raddoppiato: alla vacuità del dibattito politico si aggiunge l'inanità declamatoria della politica domenicale. Insomma statene alla larga (qualche aggiornamento minimo ve lo diamo qui sotto, ma giusto per poter prevenire il colpo e stopparlo) e preparatevi per l'unico tema di sicuro successo: gli Obama che diventano sceneggiatori e interpreti del sogno democratico, trasformandosi, o forse continuandosi, in show educativi. Lo scoop è del New York Times, ma è anche (dopo il voto italiano, di cui tutti ma proprio tutti avevano capito come sarebbe andato a finire) lo scoop più prevedibile della storia. Perché gli Obama erano serialità e sceneggiatura già prima della (presunte) firma per Netflix, modernità e racconto insieme, narrazione e archetipo vivente. Da ora in avanti lo scatenamento analitico sarà totale, preparatevi (tenetevi subito pronta una battutina, con Obama che si fa serie post-presidenza e Trump che arriva alla presidenza dopo The Apprentice. E se proprio volete andare in profondità potete sciorinare le differenze tra show ispirazionali ovvero formativi e show competitivi).
La linea fogliante del FATE PIANO rispolvera i fasti di storiche prime pagine altrui, ovviamente quelle del FATE PRESTO. E ironicamente dice tutto il poco che c'è da dire in questi giorni di frenetica inazione attorno alla ricerca di una maggioranza. In generale si può aggiungere che dopo una campagna elettorale fatta di insulti e inquinamento delle idee non è facile provare ad avviare trattative con un minimo di razionalità. E non aiuta il delirio di chi nomina ministri o di chi sta "scrivendo il Def, con tagli alle tasse", di chi vuole parlare con tutti ma se sono d'accordo a ubbidire. Insomma, cenate tranquilli, tanto entro il dolce non sarà nata la maggioranza:
Altri incontri e trattative stanno per avviarsi dopo una micidiale sequenza di insulti reciproci, ma almeno lì ci sono di mezzo un po' di armi vere e un po' di pericolosità autentica da provare a smontare. Kim e Trump si sarebbero già sentiti al telefono e si vedranno, anche se l'amministrazione americana teme le accelerazioni trumpiane:
Matteo Renzi va via e subito ti rispunta Antonio Di Pietro, stavolta candidato alla regione Molise. Domanda: Carlo Calenda, e altri, a questo punto tengono la tessera del Pd?
Perdonatemi ma il golf si affaccia prepotentemente nella fabbrica delle storie esemplari. E visto che siamo circondati da ritorni di personaggi accantonati (Di Pietro), uscite ma da non prendere mai come definitive (Renzi), successi che già mostrano crepe (Di Maio) non possiamo non segnalare che dopo guai familiari devastanti, problemi fisici, operazioni alla schiena, crisi nervose, Tiger Woods è tornato a guidare la classifica di un torneo della Pga. Siamo a venerdì e quindi mancano due giorni alla fine ma già la posizione a metà gara dice tantissimo e ci racconta che non esistono cadute definitive. A Las Vegas corrono ai ripari con le quote delle prossime gare, nel mondo politico italiano invece sembrano meno prudenti: