Lo scontro nel Pd sul #senzadime e l'antisemitismo di Abu Mazen. Di cosa parlare a cena
Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi
Con una specie di riassuntino finale delle puntate precedenti, fuori dalle consultazioni formali, Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno riproposto, appunto in forma sintetica, i loro vacui tentativi di accordo, le proposte (fatte più per i posteri, elettori, che per i contemporanei, parlamentari che devono votare la fiducia), le mitiche liste delle cose da fare, i dinieghi, i veti.
Tutto velocissimo, addirittura consumato prima del pomeriggio. Con l'aggiunta comica della professione di contrarietà al voto anticipato. Da parte di Salvini c'è anche la proposta simpaticamente provocatoria di istituire una regola taylor made per attribuire la maggioranza parlamentare: vada alla coalizione che prende più voti. Chiaramente è detto tanto per ridere, perché non solo sembra ritagliata sull'ultimo risultato elettorale per far fare l'asso pigliatutto allo stesso proponente, ma poi andrebbe contro la visione della Corte costituzionale come un frontale tra un tir e una ruspa. Immaginate infatti una ulteriore divisione tra i concorrenti, con scissioni varie (mai da escludere in Italia) che portino le liste in competizione a 5 o 6 o di più. Si potrebbe vincere tutto il banco con un 18 per cento, roba da far svenire un paio di giudici costituzionali.
Il Foglio però mantiene lucidità politica e cerca di trovare gli spazi, seppure strettissimi, in cui ancora potrebbe svilupparsi l'accordo Di Maio-Salvini. Ah, il leader leghista oggi si è visto a pranzo, in un'occasione pubblica, con il presidente della Liguria Giovanni Toti, il suo più deciso sostenitore in Forza Italia.
E il Salvini (ieri tanto per distendere il clima si era fatto riprendere a bordo di una ruspa) che torna ad avere l'iniziativa toglie un po' dal centro della scena il Pd e la sua direzione che invece erano stati il fuoco dell'attenzione, e delle conversazioni serali più politicizzate, negli ultimi giorni. Anche se qualche dirigente si diverte a seminare dubbi sulla tenuta del fronte renziano, ma i conti si faranno presto, si comincia domani alle 15.
Mentre c'è una certa indignazione per la compilazione delle liste dei contrari e favorevoli all'accordo tra Pd e 5 stelle, lo hanno fatto i sostenitori del #senzadime, a loro volta però tacciati di essere burattini manovrati da chissà chi.
Intanto il mercato del lavoro dà segni di vitalità. Diminuiscono gli inattivi, malgrado la frenata del ritmo di crescita economica. Vuol dire che c'è maggiore fiducia nella possibilità di trovare lavoro e allo stesso tempo c'è necessità di rafforzare il reddito non ricorrendo a soluzioni assistenziali o familistiche. Mentre aumenta anche il numero totale degli occupati. La mancanza di governo, almeno per tutto il 2018, non incide su questo dinamismo.
Dopodomani c'è l'importante assemblea della Tim, con la sfida tra cordate concorrenti, quella guidata da Vivendi, cioè la famiglia Bolloré,i e quella, più composita, che segue il fondo Elliott. Intanto la stampa francese, che mai lo ha amato, sfruculia Vincent Bolloré.
Nel mondo arabo e palestinese alligna una forma storica di antisemitismo (da cui ovviamente non è stato esente anche il mondo occidentale), precedente al male assoluto hitleriano e rielaborata dopo la tragedia dello sterminio. Questa newsletter consiglia di leggere con questa chiave le gravi parole di Abu Mazen.
Il Foglio giustamente difende dal populismo la figura astratta dell'arbitro, il ruolo dei tecnici e degli esperti cui viene data fiducia. E ha ragione a farlo. Poi ogni tanto ci sono casi che fanno vacillare. Anche i nostri cari tedeschi un po' si sarebbero scocciati. Stasera parlatene in cene pre-partita o durante-partita, così per stemperare la tensione.
A proposito di arbitri, ecco, in Francia tutti possono diventare segnalatori mobili di infrazioni. Il tema a cena, se non romantica, è infallibile.
Il tema che non uscirà mai dall'agenda e dai possibili spunti di chiacchiera.