Theresa May ed Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Il rinvio del voto sulla Brexit e l'assalto dei sovranisti in Francia

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati da Giuseppe De Filippi

Parlare di cose italiane non è semplice, per la nebbia che avvolge le decisioni pubbliche (lo ha raccontato bene oggi Sabino Cassese sul Corriere della Sera), quindi partiamo dalle cose di due paesi europei. Uniti dall'irruzione populista sulla scena pubblica, ma con esiti diversi. Theresa May non può governare perché ha seguito il volere populista della Brexit, Emmanuel Macron ha difficoltà a governare perché non ha seguito il volere populista alle elezioni ma ora se lo trova contro nelle proteste di piazza. Entrambi hanno vie d'uscite, certo. Per May gli spazi sono minimi, oggi se la cava con un bel rinvio della decisione (sia sempre lodata la proroga) ma sembra destinata a perdere in blocco la premiership  e il suo progetto di Brexit gestita. Ora sembra che si vada verso un'uscita non negoziata, salvo trovare un nuovo schieramento politico maggioritario che rivolti il voto del referendum caro a tutti i sovranisti bannoniani. La Corte Suprema del regno ha dato una possibilità, stabilendo la liceità del ripensamento rispetto a quanto votato con la scelta del Leave. Ma evidentemente il politico che potrebbe gestire questa ardita ma forse necessaria ritirata non potrebbe essere May. Per Macron la questione, come si diceva, è opposta. Si tratta di continuare un governo nato contro i populisti e non, come quello di Londra, grazie ai populisti. May ha in piazza i tifosi dell'Ue, sconfitti al referendum ma vocianti più che mai, al di qua della Manica in piazza ci sono gli anti Europa e tutto quell'indistinto malcontento che ci viene descritto ogni giorno. May oggi ha parlato a Westminster per rinviare, Macron, probabilmente a ora di cena, dovrebbe parlare per dire alla Francia e all'Europa come intende mandare avanti la sua presidenza. Ah, il nostro idolo, cioè la leader scozzese Nicola Sturgeon, parla di patetica codardia a proposito della scelta del rinvio da parte di May.

 

 

Ma c'è un Cassese sul Foglio anche più divertente, perché ci fa capire che Brexit è comunque una missione impossibile.

 

  

Erdogan non manca d'ironia e chiama in causa la Francia, davanti alle Nazioni unite, per aver represso i gilettisti.

 

 

Ok, c'è anche l'Italia. I sindacati sono andati a Palazzo Chigi il 10 dicembre per la prima volta a parlare di manovra. Cioè a due giorni dall'ultimissima sponde per dare a Bruxelles il testo definitivo del budget italiano 2019. Quindi la loro è stata una tavolata senza senso, si potrebbe dire che sono arrivati a sedersi al momento del conto.

  

 

Poi c'è la splendida battaglia politica per la Tav, con il voto della gloriosa città metropolitana di Torino che sancisce il sì alla Torino-Lione da parte di una maggioranza assoluta delle istanze rappresentative locali, assente la sempre più eterea Appendino. Più chiari non si potrebbe essere e non c'è piazza, favorevole o contraria, che tenga.

 

Il punto è che sia i tavoli con le parti sociali, ancorché tardivi, sia i voti a favore della Tav (su mozioni che univano Pd, Forza Italia e Lega), sia l'attivismo di Matteo Salvini in politica economica, mettono in crisi la già pencolante maggioranza di governo. Luigi Di Maio si irrita, fa uscire velinette sul reddito che chiama di cittadinanza da far partire subito, sull'accisa che chiama ecotassa, sulle pensioni che chiama d'oro, ma non sfonda. Salvini, come direbbero a Napoli, non se lo pensa proprio. Un problema, si direbbe, sempre ricordando che mercoledì bisogna dire all'Europa che diavolo vogliamo fare con la manovra, coi saldi di bilancio, con il deficit strutturale.

 

L'offesa alla memoria, a ciò che resta di persone portate via dalle loro case e uccise nei campi di sterminio. L'offesa vigliacca a quelle pietre che sono la negazione dell'enfasi monumentale e forse proprio per questo sono insopportabili per la cattiva coscienza antisemita. Perché sono lì, per terra, a ricordare il male che è stato commesso e una persona che non c'è più. A Roma qualcuno ha divelto e portato via le pietre d'inciampo, ciascuna porta un nome, il giorno della sua nascita, quello della deportazione e quello della morte.

   

A Carrara hanno votato 5 stelle al comune e hanno inguaiato anche la squadra di calcio