Lo stupro di Viterbo e il dialogo (impossibile?) Pd-M5s
Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi
Lo stupro di una donna a Viterbo, accusati due militanti di CasaPound, tra i quali un consigliere comunale nel vicino paese di Vallerano. Hanno premeditato, invitandola a raggiungerli la donna poi violentata, in un locale frequentato da aderenti all'organizzazione di estrema destra nazionalista e violenta. Mentre si scatenano altrettante affermazioni da altre destre per chiedere pene esemplari e castrazione chimica e altre trucidezze declamatorie voi chiedetevi come sia successo che il consigliere comunale, in passato inneggiante perfino a Kappler, sia stato votato, dove abbia tratto il suo consenso. Le dicevano di star zitta, tanto nessuno le avrebbe creduto, raccontano i primi verbali sulla violenza avvenuta il 12 aprile. Il neofascismo è fatto anche di questa idea di superiorità rispetto alla legge, della sensazione di vivere in una giurisdizione separata, con le regole del gruppo, la fedeltà di cui tanto si ammantano, prima di tutto. Un fatto drammatico come questo, scontata la sofferenza individuale e lasciato ai magistrati il loro compito (senza trucidezze di complemento, come si diceva), dà luce su un mondo chiuso e violento. A Roma trincerato nel suo fortilizio occupato abusivamente, di cui però il ministro dell'Interno non si occupa. E da quel fortilizio diffonde violenza nei comportamenti e sub-cultura nelle relazioni umane.
Se proprio ne avete voglia potete rivivere le poche ore dalla sortita di Delrio, che via La Stampa ha tentato un'apertura ai 5 stelle, e il rapido trattamento Bersani subito dal malcapitato ex ministro delle infrastrutture. Valga da lezione, verrebbe da dire. Oppure qualcuno, sul fronte irriducibile della ricerca di un'intesa tra Pd e M5s, potrebbe obiettare che le rispostacce di Di Maio a Delrio sono acqua fresca, quasi gentilezze, rispetto a ciò che quotidianamente lo stesso Di Maio dice all'alleato Salvini e viceversa e quindi non ci sarebbe troppo da preoccuparsi. Il fatto è che però, nel bersanizzare (ricordate lo streaming e il “non siamo a Ballarò” inferti all'allora segretario del Pd dai grillini nel 2013) Delrio, Di Maio ha buttato lì i suoi classici argomenti identitari e caratterizzanti per la campagna elettorale, e perciò, forse, la durezza della risposta era anche spiegabile con la strategia dimaiana in cerca di voti tra gli elettori di sinistra. Sembra una mossa disperata, ma lo sta facendo. Il capo politico del partito da lui stesso post-fondato (ne è risultato fondatore recentemente, grazie a misteriose modifiche statutarie) si sta forse rendendo conto di avere la strada sbarrata da Salvini verso il suo bacino di voti più naturale, che, a dispetto del parere di molti politologi, è quello della destra, del qualunquismo, del becero spirito anticasta, quello che confina (e talvolta sconfina) con l'antipolitica e con l'antidemocrazia. Allora un Di Maio che si vede sorpassato nella corsa a quei voti tenta di riposizionarsi, ma lo fa goffamente, insultando e provocando, e così rivelandosi. Il tutto nel volgere di una mezza mattinata.
Insomma il dialogo forse nel Pd dovrebbero farlo prima tra loro e, effetto inatteso, la bersanata di Delrio ha creato un po' di utile dibattito interno.
Per cena figurone assicurato memorizzando, ci vuole davvero poco tempo, i pochi concetti e molto esplicativi con cui Stefano Ceccanti ci fa capire cosa è successo col voto spagnolo e che governo ne potrà sortire (vabbè anticipo qualcosa: governa Sánchez, forse con esecutivo di minoranza).
Tutta Europa ne parla, anche perché il sovranismo non corre più di tanto, mentre i partiti centristi che si mettono a inseguire chi strappa a destra non vengono affatto premiati. Mentre, osserviamo in vista della cena, sembra che in Europa ci sia domanda per una generica e molto vagamente abbozzata rappresentanza politica di centrosinistra, con un po' di elementi liberali, un bel po' di competenze tecniche, la rassicurante continuità con le élite che si sono conosciute e che hanno costruito la politica comunitaria. E questo confuso desiderio viene incarnato in vari modi a seconda dei paesi. In Germania il perno di questa offerta politica sono i democristiani, in Spagna i socialisti, in Francia è stato il partito inventato da zero da Macron, in Italia è stato il Pd (particolarmente quello di Renzi). Difficile dire se l'Italia rappresenta il passo successivo, cioè il ripiegamento anche di chi riesce a rispondere alla domanda di un centrosinistra liberale ed europeista o se l'Italia sia solo e semplicemente divergente e preda, solitaria, del doppio populismo.
Poi c'è certamente il personaggio, Pedro Sánchez (ecco, forse qui, nel nostro ribaldo e trucido dibattito pubblico, la sua bellezza sarebbe oggetto di battutine idiote).
Se proprio ci tenete ecco quelli di Vox.
Che poi se noi parliamo degli spagnoli, gli spagnoli parlano di noi.
Contraddizione mica da poco, provate a proporne la comprensione a cena, regge anche per i prossimi giorni.
Ah, l'Alitalia e i suoi rinvii, ma Di Maio dice di sapere cosa fare (ma non ne dà l'impressione).
Domani arriva pure il dato sul pil, ma intanto c'è un minimo di tregua sulle questioni che riguardano il bilancio pubblico (ma non per l'Iva, che continua a preoccupare).
Ecco, le cose per cui si discute davvero.
Sul Giappone fidatevi del Foglio e di Giulia Pompili e della sua newsletter, parlate a cena dell'imminente cambio a Palazzo (ma non parlate del Palazzo imperiale giapponese con la cialtronaggine di chi si è messo a fare i paragoni sui costi del Quirinale, portando anche il volenteroso Paolo Mieli nella rassegna stampa di Radio Radicale a constatare con gioia la permanenza dello spirito anticasta in Italia, spirito di cui invece si farebbe volentieri a meno).