La corsa finale verso il Def e l'impeachment di Trump
Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi
Il nostro caro governo normale che fa cose normali ha avviato la corsa finale verso la definizione della nota con cui si aggiorna il documento di programmazione economica e si imposta, in sostanza, la prossima manovra economica. A Palazzo Chigi con il solido Giuseppe Conte ci sono il rispettato e autorevole ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, il capo del Pd al governo Dario Franceschini, e i vice dell'Economia a pareggiare i conti tra le delegazioni, quindi una Laura Castelli che sta riscattando certe intemperanze passate e il molto concreto Antonio Misiani. Un consiglio per le chiacchierate a cena: aspettate di sapere di più su questo incontro e da lì arriveranno le indicazioni per le prossime mosse di politica economica. Tutto ciò che ha fatto discutere negli ultimi giorni era basato su soffiatine di poco rilievo o dichiarazioni tanto personali quanto impulsive e prive di effetti sulla politica del governo. Di certo c'è che il clima attorno al bilancio dello stato si è fatto meno cupo e quindi, tolta la grande operazione sull'Iva, il resto della manovra non dovrebbe comportare sacrifici o sforzi estremi.
Che arrivi o no la procedura di impeachment e poi la successiva decisione il punto forte segnato dai democratici (ma non da tutti loro, evidentemente) è che Donald Trump aveva e ha molta paura di Joe Biden. Tanto da arrivare a sbilanciarsi con un leader estero e in modo tremendamente goffo per creargli problemi. Ovvio poi si pensi alla campagna contro Hillary Clinton e si faccia qualche banale inferenza logica sulle abitudini ripetitive di Trump come concorrente elettorale. Qui, nelle nostre cene, il tema è affiorato più volte, anche perché si presta a conversazioni serali che sanno di potere e di squarci sull'attività dell'uomo più potente del mondo, un mix che, per quanto Trump abbia reso un po' ridicolo l'ufficio, dal punto di vista narrativo e quindi anche per conversare seriamente funziona sempre.
I mercati poi, per avere un po' di stabilità, si attaccano a tutto, pure a Trump. E quindi poi si dispiacciono, o fanno finta, se le cose si mettono male per il presidente chiacchierone.
Boris Johnson adesso deve vedersela anche con un nutrito gruppo di urlanti membri del Parlamento, sta proprio messo male. Torna sullo scranno più alto quindi l'idolo mondiale John Simon Bercow.
Qui ci sono le regioni che, a norma di Costituzione, chiedono di far pronunciare i cittadini sul cambio della legge elettorale, per imporre un modello pienamente basato su collegi uninominali. Il tema è stato finemente dibattuto nei giorni scorsi, osservando, ad esempio, che tali collegi andrebbero disegnati da capo, anzi da zero, perché non si è mai votato in Italia solo con sistema uninominale. E se ora il numero dei collegi dovrebbe necessariamente coincidere col numero dei parlamentari fissato in Costituzione, ovvero 630 per la camera, tra poco potrebbe essere necessaria una nuova mappatura dei collegi.
Questo video mostra una cosa terribile, e cioè che Di Maio non ha capito (o finge di aver capito e poi si fa scoprire lo stesso) per quali ragioni c'è stata una mobilitazione per togliere Matteo Salvini dal governo. Secondo Di Maio è successo per l'opposizione dell'allora Capitano alle scelte fondamentali del grillismo di base. La realtà, come sappiamo, è un'altra ed è legata ai tentativi di strappo incostituzionale e contrario agli standard europei dello stato di diritto messi in atto da Salvini. A Di Maio poi andrebbe detto, con rispetto, che quei tentativi attingevano a un'ideologia spesso vicina a quella dei 5 stelle e dalla quale, con l'occasione maieutica data sempre da un governo di coalizione, il movimento di Di Maio sta, forse, tentando di uscire. Ma poi le cose si aggiusteranno da sole grazie all'abitudine all'insolenza resa ancora più virulenta tra i leghisti dopo il passaggio all'opposizione. Insomma cominciano a vedersi gli effetti del metodo Calderoli applicato su larga scala. E di fronte a queste provocazioni continue anche il nostalgico Di Maio finirà per ribellarsi.
Ecco poi c'è lo slogan del Pd per invogliare all'uso della sua nuova nascente piattaforma di partecipazione politica. Si fa molto peggio rispetto allo "uno vale uno" dei grillini, non necessariamente brutto, dipendendo tutto dalle interpretazioni. Lo slogan grillino potrebbe anche avere un suo fondo oltre che nell'uguaglianza, che non è da buttar via, anche nell'individualismo. Trovando quindi un punto di dialogo tra liberalismo e democrazia, roba seria. Quello del Pd recita "Tu vali tu", che è una versione in prosa, una esplicitazione, dell'espressione grillina, con un'aggiunta di confidenza di cui non si sentiva il bisogno e che porta sul terreno della comunicazione dei cosmetici oppure dei programmi televisivi di talent. Comunque magari funzionerà e sarà un successo. Perché tu vali!
Ed ecco l'influenza autunno/inverno 2019 su 2020, però non datevi arie da statistici medici parlando di paziente zero.