Il fallimento M5s su Ilva e i cori razzisti del Verona
Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi
Ogni tanto i governi italiani ricevono lettere e sono sempre guai.
Insomma recesso e risoluzione e tanti saluti. Il tutto inviato, correttamente, ai commissari, nominati dal governo, cui era affidato l'ingrato compito di traghettare la ex Ilva in mani private e affidabili. Le avevano trovate e poi il resto ormai lo sapete.
Due governi fa la trattativa serrata, poi un riluttante Luigi Di Maio aveva concluso l'operazione, circondato da un riluttante governo, e infilzato localmente da un riluttante Michele Emiliano. Tutti a riluttare o a fare confusione, come il già citato Emiliano sostenitore di un'altra cordata, ma privo di poteri per intervenire nella trattativa. Carlo Calenda, torniamo a due governi fa, aveva gestito i colloqui essenziali, ma non era il solo nel governo dell'epoca ad avere ben chiara la portata anche innovativa del piano di rilancio dell'acciaio.
Il caso è macroscopico e si svolge, in piena chiarezza e leggibilità (con tanto di lettere originali), sotto i nostri occhi. E' l'occasione per mettere bene in evidenza gli effetti della trasposizione, senza un filtro politico intelligente, degli slogan da comizio o da propaganda web dei 5 stelle in atto legislativo. Quello dicevano e quello hanno fatto, coerentemente distruttori dell'economia italiana.
E quando Luigi Di Maio dice che i negozi non dovrebbero tenere sempre aperto riprende lo stesso metodo politico: applicare direttamente gli slogan (stupidi come tutti gli slogan) alla realtà e trasformarli in iniziativa legislativa senza trattativa (la formula è sempre quella del chi ci sta, ci sta). Certo, un negozio che deve cambiare i suoi piani di lavoro e ridurre le ore non fa notizia come un'acciaieria da 12 mila dipendenti e quindi finora le assolutizzazioni dei 5 stelle non si erano tanto notate.
Ahia, se Di Maio legge questo diventa iper statista.
E anche un produttore di plastica, cosa volete che sia, è una galassia di piccole aziende, nessuno ci fa caso. Così ragiona Di Maio, d'ora in avanti noto come lo Statista.
Sono i sindacati, i cui dirigenti evidentemente sono meno interessati alla qualifica di statisti, a battersi in extremis per salvare la produzione di acciaio.
Attenti alle trappole, però, perché il succo della faccenda è nella fuga generale dalle responsabilità.
Lo statista della moneta che piace ai leghisti lasciati in panchina ma non messi fuori rosa da Matteo Salvini.
Intanto l'industria, acciaio a parte, va così così.
Poi, dopo lo statista Di Maio inventore di una propria personale terza via, ci sono gli statisti di destra e fanno altrettanti guai.
Eccolo Luca Castellini.
L'atleta iraniano che (giustamente) fugge e la Germania che lo accoglie. Ricordiamo, dopo averci ironizzato, che la parola statista ogni tanto si può usare senza ironia, ed è il caso ad esempio di Angela Merkel.
La super quotazione della compagnia petrolifera Saudi Aramco, mossa che rafforza la presa di re Mohammad bin Salman.