Di cosa parlare stasera a cena
Nella polemica politica è l'ora di un grande "anche meno"
Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi
È l’ora di un grande “anche meno” nazionale, per riconciliarsi, per ritrovare prima di tutto la misura. Stefano Ceccanti, da cui spesso ci vengono utili spunti per cena, ne fa oggetto di un richiamo al centro-destra ma, come sa benissimo il senatore del Pd, estendibile davvero a tutti. La delegazione andata ieri al Quirinale ha detto al presidente della repubblica che con questo parlamento è “impossibile lavorare” e così scopre il destro (ops…) e si becca un “anche meno”. E chi non ha pensato “anche meno” mentre alternativamente Matteo Renzi o Teresa Bellanova descrivevano il governo Conte come una tenaglia che schiaccia la democrazia, che comprime l’espressione del pensiero e la libertà di impresa. Spararla troppo grossa non è mai saggio né politicamente redditizio, mentre la misura è tutto ed è la premessa per essere poi duttili, per negoziare, senza perdere la faccia. E ora un po’ di faccia bisognerà, se non perderla, almeno depositarla temporaneamente al monte dei pegni in attesa di riscatto futuro se si intende trovare una soluzione per andare avanti con un governo politico e tenere lontane le elezioni (obiettivo condiviso, quest’ultimo, da un’ampia maggioranza parlamentare). L’inchiesta in cui è coinvolto Lorenzo Cesa riduce gli spazi di manovra, ammesso che ce ne fossero in quella direzione, ma la rinuncia da parte di Giuseppe Conte alla delega sui servizi, con l’attribuzione allo stimato Piero Benassi, dà un minimo di ossigeno alla prospettiva del rientro renziano. Ma più probabilmente crea invece un’ultima possibilità di aggancio ai famosi costruttori. Quello di Conte è un “anche meno” tattico, con cui promuove un estremo tentativo di far nascere lo strano oggetto parlamentare, la maggioranza senza Iv ma con centristi sparsi e radunati, cui lavora, tra mille difficoltà, da qualche giorno. Le quotazioni per questo esperimento sono in ribasso ma non sono azzerate, mentre parallelamente si muove un gruppo di raccordo tra Iv e Pd per recuperare i renziani e tornare in sostanza alla maggioranza precedente. In entrambi i casi, però, si richiede al presidente del consiglio una prova di coraggio e cioè le dimissioni e la crisi pilotata.
Le tre "cose" principali
Fatto #1
Aiuta per l’obiettivo di ricostruzione del dialogo politico l’azione di Bruno Tabacci. Vabbè, si dice così per creare volutamente un effetto un po’ comico e un po’ realistico. Perché comunque oggi Tabacci è stato a Palazzo Chigi dove ha fatto due chiacchiere con Luigi Di Maio, con il dichiarato intento di trovare un accordo per far nascere la nuova maggioranza con il caratterizzante appoggio centrista.
Fatto #2
Intanto i senatori di Iv firmano documenti, e quando si scrive e si firma c’è sempre un’intenzione positiva. Stavolta poi ci si dice nientemeno che “pronti a riaprire”. E quando si indica una condizione è perché si desidera che venga realizzata. La condizione poi è abbastanza generica, ci si accontenta, da parte di iv, di un “fatto politico”, di qualcosa, insomma, che attesti in modo visibile un cambio di orientamento da parte del governo. Un po’ già c’è con la delega ai servizi, ma forse un segnale nello specifico terreno della giustizia potrebbe essere l’ideale (e sarebbe anche un’ottima cosa) se non altro per sminare il dibattito in aula del 27 gennaio.
Fatto #3
Perché intanto il governo (con l’effetto: come se niente fosse) avvia il confronto con le parti sociali sui progetti del piano di ricostruzione. Oggi ha visto i sindacati, accolti da un Conte sorridente e dichiaratosi sinceramente felice dell’incontro e della possibilità di dialogo. La settimana prossima toccherà alle organizzazioni imprenditoriali. I segretari sindacali già nei giorni scorsi avevano criticato l’improvviso strappo nella maggioranza e la instabilità politica che ne derivava. Il progetto di ricostruzione è una cosa presa molto sul serio e a Cgil-Cisl-Uil va benissimo di essere consultati nella fase di impostazione e poi in quella realizzativa. Stasera potete sentirlo anche dalle parole di Maurizio Landini al Tg5 delle 20. A proposito di progettualità (sempre con l’effetto: come se niente fosse) c’è anche il ministro Roberto Gualtieri alle prese con la presidenza italiana del G20.
Oggi in pillole
- L’Italia è da giorni in una condizione di stabilità nella diffusione dei contagi. A un livello alto, ma stabile. Nulla a che fare con la crescita esponenziale di cui si parlava solo qualche settimana fa. Ma ancora non ci sono chiari segnali di inversione della curva verso il basso. Nella stabilità, quello che si chiama plateau, e in una condizione di perdurante forte limitazione a tutta la vita sociale, diventa interessante andare a vedere dove sono i rischi di contagio. E si arriva al sospetto dell’assessore della regione Lazio, con la famiglia vista come ultimo rifugio della forza infettiva del virus.
- In Europa paura per la diffusione delle nuove varianti di Sars-CoV-2.
- La pandemia negli Usa corre sempre di più, tra misure tuttora molto blande, nemmeno lontanamente paragonabili a quelle europee. Joe Biden promette di ripartire con maggiore impegno, ma si limita a un limitato aumento degli obblighi di uso della mascherina. Sembra tutto un po’ già visto e destinato a finire abbastanza male. La risorsa, lo ha detto lo stesso Biden, è nel maggiore ascolto degli esperti. Oggi è consolante sentire come Anthony Fauci si senta finalmente libero di agire, di dare indicazioni alla nuova presidenza e di fare anche i primi conti con quella uscente.
- Anche in Canada riconoscono che, almeno per qualche settimana, serviranno misure più stringenti per contenere la pandemia.
- Un modo basato sulla premialità per favorire la vaccinazione al lavoro.
- Dicono in Francia che Emmanuel Macron si butta a destra e per Anne Hidalgo si apre un’autostrada, chissà.
- Iraniani poco esperti di golf o desiderosi di mostrare Donald Trump come un personaggio che disprezza le regole anche in un campo da golf. Perché in questo montaggio gli fanno tirare un colpo pieno, e con un ferro, da un green, cioè dall’area perfettamente rasata in cui nessun golfista al mondo si sognerebbe di usare un bastone diverso dal putter, fatto per far solo rotolare la palla e non creare alcun danno al fondo erboso. Per capirci, è come se avessero ritratto, che so, Renzi, che in area di rigore, da attaccante, prende la palla con entrambe le mani e la scaglia in porta o ci entra direttamente tenendola tranquillamente abbracciata come nel rugby. Insomma, si sarebbe subito capito che l’intento era denigratorio. In questo caso poi è anche minaccioso, come nelle abitudini di comunicazione del regime di Teheran.
- Ecco chi produce le moffole di Sanders.