Di cosa parlare stasera a cena
Il governo Draghi è un corso di aggiornamento per i partiti
Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi
Nascono intergruppi, qui li avevamo chiamati subgoverni o noccioli duri, perché sono embrioni di maggioranze politiche dentro a questa super maggioranza ispirata al dovere dell’unità richiamato da Mario Draghi. Quello del centrosinistra, compresi i 5 stelle, ha avuto critiche e sberleffi, anche dall’interno. Portavoce primario dei perplessi è Matteo Orfini, che però è persona intelligente è la butta più sul sarcasmo spiritoso (sua cifra) che sulla polemica violenta. E poi si copre comunque sotto l’ombrello del governo necessario e delle parole di Draghi. Tanti altri mugugni, certamente, ma anche il riconoscimento di un’operazione politica coerente, sensata e solida. Perché più che immaginare un gioco infinito di composizione e ricomposizione delle maggioranze, spostando tutti i tasselli in tutte le posizioni, è ragionevole porsi come alleanza forte e strutturata, seppure con differenze, e poi, in caso, andare a ragionare uniti se dovesse presentarsi ancora una volta una condizione di sostanziale stallo post-elettorale. E comunque c’è una dignità nel dare continuità a un’azione di governo e a un’esperienza difficile ma interessante come quella del governo Conte 2, in cui, bene o male, si è messa alla prova una convergenza politica e anche una forma di maieutica politica, da cui i 5 stelle hanno, indubbiamente, imparato qualcosa in più sull’arte di governo e il Pd ha provato a mettere in discussione parte del suo, un po’ presuntuoso, patrimonio di forza ineludibile nel centrosinistra italiano. Ma, se nel centrosinistra ci sono mugugni e incertezze, a destra la stessa richiesta, quella di fare un intergruppo che tenga tutto lo schieramento come da elezioni del 2018, mostra che qualcuno, certamente Giorgia Meloni, si è un po’ messo paura. Paura mista a orgoglio, forse, ma insomma si è trovata al cospetto di un fantasma caro ma pur sempre fantasma, quello del Movimento sociale. Si è vista, immaginiamo, tra l’europeismo, l’atlantismo, i valori liberali e democratici del presidente del consiglio, un po’ fuori da tutto. Nell’isolamento a destra che fu di Giorgio Almirante e non produsse un bel niente, tranne lo sfogo dei nostalgici. Si è vista protagonista forzata di una Fiuggi a ritroso, come in fondo, però, è stata tutta l’esperienza di Fratelli d’Italia. Ma ora anche messa fuori da un rinnovato, e strambo quanto volete, arco costituzionale. La paura scatena reazioni e quella di proporre un intergruppo del centrodestra, mentre due forze governano e una è all’opposizione, supera di slancio in assurdità le parti discutibili dell’operazione analoga fatta nel centrosinistra. E invece si mostra ancora di più la paura della solitudine, il timore di riinfognarsi, il panico al cospetto del fantasma del Movimento sociale, che hanno pervaso Meloni e altri del suo partito. Forse raccoglieranno voti alle prossime politiche, ma anche questo è da vedere. Perché non c’è sempre un governo punching-ball con cui prendersela e fare gli spiritosi, sguazzando nelle critiche qualunquiste, ma potrebbe anche esserci un governo decente, che si fa apprezzare. E allora, sul cammino a ritroso da Fiuggi a Roma il fantasma del Movimento sociale non li lascerebbe più.
Fatto #1
Si parte dal modo rispettoso e fattivo con cui Draghi si è presentato al Parlamento per chiedere la fiducia al suo governo. Parlando di progetti e riforme e, in sostanza, chiedendo di essere giudicato su di essi ma anche di essere messo in condizione di realizzarli, garantendo alla molto ampia maggioranza di avere, poi, la possibilità di riprendere lo scontro politico ed elettorale su basi nuove, come se si fosse partecipato, tutti insieme, amici e rivali, a una specie di corso di aggiornamento, a un master in politica. Ah, su numeri e percentuali ci si sbaglia sempre. Lo fanno tutti. Quindi parlate a cena degli errori e delle correzioni di Draghi e a Draghi, ma con serena e divertita indulgenza.
Fatto #2
Le reazioni, i giudizi, delle forze di maggioranza fanno pensare che, almeno per ora, questo spirito sia stato recepito. Anche il Matteo Salvini che solo ieri era tornato a stuzzicare l’euro e l’Europa oggi è nuovamente mansueto. E sembra intenzionato a restarlo per un po’. Il Pd vede proprio nei progetti e nelle riforme la cifra vincente del governo che comincia la sua attività. Matteo Renzi sostiene e lascia lavorare. I ministri di Forza Italia sfidano la scaramanzia (e fanno bene) e promettono appoggio pieno alle riforme da realizzare. Renato Brunetta, tra l’altro, è in un punto nodale per fare in modo che una delle riforme, quella molto importante della Pubblica Amministrazione, vada in porto.
Fatto #3
Proviamo, anche a cena, a buttare lì che, tra le tante, la riforma fiscale è forse quella che potrebbe lasciare rapidamente il segno, cambiare il rapporto tra cittadini e stato. Sul Foglio se ne era accennato, facendo riferimento a un punto di forza, quello di avere Ernesto Maria Ruffini a capo dell’agenzia delle entrate e fortemente favorevole a una revisione totale del sistema come quella che avvenne nel 1973. E Draghi, non sarà sfuggito, ha fatto riferimento proprio allo spirito con cui nei primi anni settanta si dette vita a un gruppo di lavoro, con i migliori consulenti possibili, per impostare, forse per la prima volta, il fisco italiano in chiave moderna. È interessante che anche allora si aveva a che fare con una pressione mondiale, perché si stava ridisegnando il sistema delle relazioni economiche, e con la convergenza europea, perché stava nascendo l’Iva. Anche questa volta si parte, lo ha detto Draghi, con una commissione. E nessuno faccia ironie, come quelle un po’ cretine che accompagnavano le task force nominate da Giuseppe Conte e dai suoi ministri. Perché serve il contributo dei migliori esperti in circolazione, l’importante è ascoltarli, capire, sintetizzare. E la nuova squadra economica al governo, assieme a Ruffini, certamente è in grado di farlo.
Oggi in pillole
- Piano con le rivelazioni e successivi editoriali sui successi straordinari delle regioni nel reperimento autonomi di vaccini. Non sembra proprio il caso.
- La commissione europea invece ne compra altre 300 milioni di dosi, in modo sicuro e con distribuzione pro quota.
- I numeri di oggi e le tendenze della pandemia. Tra una certa stabilità dei nuovi casi e qualche peggioramento delle variabili più legate all’assistenza ospedaliera (come da testimonianza diretta dei medici). Nel mondo però c’è un’interessante arretramento dei nuovi contagi.
- L’inseguimento delle varianti virali (è importante investire nella capacità di sequenziare).
- E sì, oggi c’era anche un voto su Rousseau e i 5 stelle hanno deciso di chiudere la stagione del capo politico per passare a un direttorio. Alcune cose le capiscono solo gli studiosi di questa intricatissima materia, ma, insomma, il punto è che da ora si potranno strutturare le correnti interne e si deciderà in modo più simile ai partiti tradizionali. Cosa che comporta anche una graduale riduzione del potere assoluto e dispotico di Beppe Grillo e la necessaria maturazione politica delle correnti politicamente spendibili.
- Le pensioni italiane e perché quota 100, allo stesso tempo, è stata costosa ed è anche servita a poco.
- Il sud degli Stati Uniti ancora travolto da neve e freddo, con sospensioni di elettricità e acqua. Il Texas è lo stato più colpito. Ne parla il ministro dei trasporti Pete Buttigieg.
- Filippo di Edimburgo in ospedale.
- Il più ricco sono io e guai a voi!