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Di cosa parlare stasera a cena

Il ruolo di Meloni in Europa e quello del Pd

Giuseppe De Filippi

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La vittoria è di Giorgia Meloni e ora la attendono scelte di peso. Si parte dall’Ue, dove servirà tanta politica per provare a rompere gli equilibri tradizionali e dare uno spazio e un ruolo al suo gruppo dei conservatori (mentre l’affermazione alle europee e ancora di più il voto nazionale tra poche settimane in Francia costringerà i lepenisti a prendere posizione come se fossero anche loro un partito in grado di governare e di stare nei consessi internazionali). Meloni potrebbe anche scegliere, come detto prima delle elezioni, di restare all’opposizione in Ue rispetto alla maggioranza che sosterrà probabilmente un nuovo mandato di Ursula von der Leyen e della quale sarà invece parte integrante Forza Italia, oppure potrebbe tentare un’operazione complicata ma potenzialmente remunerativa mettendo le sue carte sul tavolo e cercando di superare il veto posto dal gruppo S&D: la posta sono le politiche industriali troppo orientate verso la transizione ecologica, tema che potrebbe convincere anche i popolari.

Mentre il campo largo di Bruxelles, come ci dice Claudio Cerasa, si costruisce attorno al sostegno all’Ucraina, con Meloni forte delle scelte di questi ultimi mesi.

In Italia il governo e la maggioranza sono certamente stabilizzati dai risultati elettorali, con la prospettiva aperta di un periodo lungo in cui misurarsi con risultati da ottenere e con riforme da completare (a cominciare da quella fiscale).

 

Le tre "cose" principali

Fatto #1

Il Pd emerge come campione di amministrative e di amministratori, unico partito davvero radicato. Non sono le candidature esterne di grido, come Marco Tarquinio, il cattolico contrario alla difesa dell’Ucraina a portare voti (e lo si è visto con chiarezza nel magro risultato dell’ex direttore di Avvenire), e forse non è neppure lo slancio berlingueriano di Elly Schlein, sono invece i saldi legami con gli interessi locali ed è la politica fatta di potere e di rapporti diretti, oltre che di esperienza. E le cose vanno bene ai dem nel turno di comunali

Il Pd ha attraversato questi ultimi anni prendendosi la responsabilità di sostenere governi di vario tipo e affrontando tutte le questioni più complesse, nazionali e internazionali, senza sfuggire nel vaniloquio antisistema. Una fatica da cui si ha in cambio il mantenimento di quelle radici sociali che ne hanno fatto il partito più stabile e resistente della nostra storia recente, mentre a contrapporglisi erano a turno partiti nati da exploit, molti dei quali poi sgonfiati. La delegazione del Pd nel gruppo S&D al parlamento europeo sarà la più cospicua, dando molto peso politico alla componente italiana nella maggioranza europea.

Tra i 5 stelle, nei momenti di difficoltà, rispunta Davide Casaleggio.

 

Fatto #2

Forza Italia può gioire, consolidarsi, guardare al successo confermato in Piemonte, con il nuovo mandato per Alberto Cirio e dare qualche stoccata, un po’ maramalda, ai vicini centristi sconfitti.

 

Fatto #3

Avs fa incetta di voti dai vicini, li prende, scrivono gli esperti di flussi, dai 5 stelle, un po’ dal Pd (soprattutto per elettori che vogliono una netta posizione contro l’aiuto all’Ucraina e contro il rafforzamento della capacità militare della Nato) e da Unione popolare. Non aggiunge molto alla possibile coalizione di sinistra, ma dà uno spazio di rappresentanza a un mondo che si sarebbe sfilacciato elettoralmente. Carlo Calenda e Matteo Renzi perdono per le ovvie ragioni matematiche (è impossibile andar bene se quasi ogni voto ricevuto viene dimezzato a vantaggio della lista concorrente) e per ragioni politiche, perché la proposta liberale aveva bisogno di più concretezza e comprensibilità. Non si vedono più prospettive per i due annullatisi reciprocamente e privi di vero sostegno locale.

 

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