di cosa parlare stasera a cena

L'Ue si rimette in movimento

Giuseppe De Filippi

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Fatto l’accordo per le nomine principali, l’Ue si rimette in movimento facendo conto sui soci tradizionali della maggioranza e su un po’ di creatività politica della confermata presidente della commissione Ursula von der Leyen. Il cui primo obiettivo è ora il dialogo con qualche forza esterna al suo nucleo duro fatto soprattutto del Ppe (la buona affermazione dei democristiani tedeschi è stata importante per mantenere UvdL al suo posto) e poi dell’altro gruppone, quello socialdemocratico, e dei liberali. Sappiamo benissimo che il principale e unico grande gruppo cui guardare fuori dal nucleo di maggioranza (soggetto a scissioni e a voti segreti inaffidabili) è quello dei meloniani italiani. La ragione politica vincerà, con un’operazione che ha, tra l’altro, il merito di spezzare una destra europea fintamente unita e di mostrarne potenzialità e limiti. Il quadro si completa, dopo una democristiana, con il socialista portoghese Antonio Costa, alla presidenza del consiglio europeo, e con la liberale estone Kaja Kallas, personaggio politico particolarmente interessante per la sua intransigenza nel confronto con la Russia e nel sostegno all’Ucraina

 

E ci sono anche un po’ di conferme per i capigruppo dei socialisti e democratici e dei liberali

  

Le tre "cose" principali

Fatto #1

A proposito, l’Ucraina e la Moldova cominciano il processo formale di adesione all’Ue

 

Per Viktor Orban è una roba terribile da mandar giù, come esponente di punta del fronte simpatizzante verso Vladimir Putin le sue azioni sono tremendamente in ribasso e il suo nervosismo potrebbe rivelare quello parallelo del Cremlino di fronte a queste nomine

 

Fatto #2

Giorgia MeloniElly Schlein raccolgono i risultati delle elezioni in cui ciascuno, come si diceva ieri, vince qualcosa. Lo fanno riaprendo il confronto a due forse in modo troppo meccanico e poco politico. Non c’è fretta, verrebbe da dire a entrambe, e ora si va verso mesi in cui saranno le decisioni economiche a caratterizzare il governo e l’opposizione. La contrapposizione fatta con le battute serve a poco

  

Fatto #3

Paolo Savona venne nominato da leghisti e 5 stelle alla presidenza della Consob immaginate in che clima e con quale mandato, e fu anche respinto dal Quirinale come ministro perché nemico della politica monetaria messa in comune attraverso l’euro e la Bce. Un po’ di tempo è passato da quegli anni, tra il 2017 e il 2019 in cui il discorso pubblico e il combattimento del talk show andavano sempre a parare sull’abolizione dell’euro, su presunte funzioni salvifiche della moneta gestita in proprie e altrettanto presunte sue funzioni distruttrici se gestita in comune. Adesso si portano altri argomenti, chi vuol essere truce può scegliere tra il corrivo terra terra alla Vannacci o il complottismo da alte sfere dei putiniani anti-Nato. E allora Savona, meno toccato dalle correnti più insidiose del contemporaneo dibattito politico-economico, può tornare alla sua razionalità e alla sua competenza. E nella sua relazione, davanti al presidente della Repubblica, può lanciarsi in una (condivisibilissima) tirata iper-europeista, chiedendo, tra le varie cose, che si proceda verso l’unione fiscale, come passaggio determinante per l’Europa, per “evitare che i paesi membri sfruttino la facoltà di discostarsi dagli indirizzi comuni concordati, generando disomogeneità applicative sostanziali”. Insomma, tutto il contrario del programma leghista, cioè del famose più Italia e meno Europa. Qui c’è tutto veloce con le slide o più approfondito col testo integrale

  

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