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Di cosa parlare stasera a cena

La vittoria di Trump è un fenomeno che sfugge alle spiegazioni

Giuseppe De Filippi

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Ora non si ecceda nella spiegazione. La vittoria di Donald Trump non era stata prevista da molti per una semplice ragione e cioè perché aveva perso 4 anni fa contro Joe Biden e nel frattempo ne aveva combinate di tutti i colori. Niente sondaggismi o chissà quali studi sociologici, si trattava solo di pallottoliere. Era ragionevole pensare che almeno i voti di Biden tornassero a essere espressi, anche se in favore di un’altra candidatura, anche perché la campagna elettorale di Kamala Harris non aveva mostrato difetti clamorosi. L’idea del travaso dei voti democratici 2020 sul 2024 derivava anche dalla considerazione della loro origine. Non si era trattato, in gran parte, di voti nati per l’entusiasmo verso Biden ma del rifiuto di Trump, aveva agito un classico e potente meccanismo politico e cioè il contrasto al peggio con scelta del meno peggio. Con quei numeri si sarebbe vinto. Questo non serve a dire che la campagna democratica sia stata perfetta, ma che forse esistevano determinanti di fondo nell’opinione pubblica contro le quali si poteva pochissimo. Ma non si deve eccedere nella spiegazione del voto a Trump perché come sapevamo poco dell’orientamento elettorale prima delle elezioni ne sappiamo poco anche dopo. Le analisi fondate sui prezzi e sull’economia sono anch’esse razionalizzazioni ex post di un fenomeno che in realtà sfugge. Sul Foglio Giuliano Ferrara chiama all’assunzione di responsabilità il gruppo obamiano, cioè la grande dirigenza del partito democratico.

Per conto suo, diciamo così, il presidente dai due mandati vinti con facilità (e i prezzi si muovevano anche ai suoi tempi) è intervenuto sulla sconfitta, parlando, nel punto centrale, di un vento contrario a tutti i governi in carica nei paesi democratici durante le elezioni del 2024. Giudizio sereno anche da parte di Harris. L’economia, le condizioni di vita delle famiglie, le prospettive di miglioramento, non si esauriscono nell’andamento del prezzo di alcuni beni. E un po’ di totoministri.

 

Le tre "cose" principali di oggi

Fatto#1

Intanto cade il governo in Germania, perché il ministro dell’economia, che è anche il segretario dei liberali, non è più in linea con il resto della maggioranza e ritira la sua delegazione. Christian Lindner dice che le persone hanno paura per il futuro economico. E i sondaggi (ahi, i sondaggi) dicono che si può fare la grande coalizione, anzi, che si deve fare. Oppure che si dovrà puntare sui democristiani per una specie di governo di minoranza. Sì, ci sono i neonazisti in crescita, ma c’è ampio spazio per fare coalizioni con cui escluderli. Funziona così con il proporzionale e non è detto che sia un male.

 

Fatto#2

Emmanuel Macron con un paragone abbastanza crudo per spiegare le scelte necessarie all’Ue.

 

Fatto#3

I cinesi, con il loro abituale tono diplomatico che sfiora la presa in giro, vogliono che i rapporti politici e commerciali con Trump siano stabili e sani.

 

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