A cosa servono gli “stati generali”? L'intervista doppia Padoan-Garavaglia
Le diverse opinioni di due deputati con esperienze al ministero dell’Economia su come dovrebbero funzionare le relazioni tra politica, parti sociali ed esperti
A cosa servono gli “stati generali”? E come dovrebbero funzionare le relazioni tra politica, parti sociali ed esperti? Lo abbiamo chiesto a due politici con esperienze al ministero dell’Economia: Pier Carlo Padoan, deputato del Pd, e Massimo Garavaglia, deputato della Lega. Questa è “Divergenze Parallele”.
Qual è il suo giudizio sugli “stati generali” organizzati dal governo, benché non siano ancora terminati?
Garavaglia – Non sono finiti quindi i risultati ancora non li vediamo. Diciamo che è imbarazzante l’enorme spreco di tempo e di risorse per fare una cosa che è già stata fatta in Parlamento con la presenza di governo, parti sociali, maggioranza e opposizioni. Abbiamo appena concluso le audizioni al “decreto rilancio” e le cose che vengono ripetute dalle parti sociali in questo “one-man show” sono le stesse cose che sono state dette e i documenti sono gli stessi che sono stati portati alla Camera dieci giorni fa.
Padoan – Mi sembra fino ad adesso un’esperienza di consultazione allargata: il governo e il presidente del consiglio si incontrano con esperti, parti sociali, istituzioni e vedremo chi altro per dare delle indicazioni e ricevere suggerimenti su come avviare la strategia di uscita dalla crisi. Io mi auguro però che non si perda altro tempo sulle indicazioni e ci si concentri sulle strategie per uscire dalla crisi.
Le priorità espresse da Conte durante gli incontri sono ciò di cui il paese ha bisogno? Il problema è attuarle o c’è un tema di sostanza?
Garavaglia – Sono i normali titoli di ogni piano di riforme degli ultimi dieci anni, sempre quelli. Il problema è quando si passa dal titolo alle misure reali, totalmente inesistenti.
Padoan – Le priorità generali sono quelle di rilanciare la crescita lungo il duplice binario della rivoluzione digitale e la sostenibilità ambientale e anche sociale. Su questo credo che siamo tutti d’accordo. Mancano però i due passi successivi: primo, specificare in concreto cosa ciò voglia dire e, secondo, tradurlo in documenti attuativi. Siamo ancora alla fase iniziale.
Molti si chiedono a cosa sia servito il piano elaborato dagli esperti guidati da Vittorio Colao. Lei si è fatto un’idea? Come può funzionare al meglio il dialogo tra esperti e politici?
Garavaglia – Bisogna distinguere i piani. Primo, quando un governo moltiplica le cabine di regia significa che la regia non c’è. Secondo, il contributo dei tecnici va bene, ma iniziamo a prendere il contributo dei tecnici esistenti che è ampio e disponibile a tutti. Terzo, ascoltiamo anche qualche spunto dall’opposizione. Quarto: il contributo di Vittorio Colao, pur non essendo sceso moltissimo in profondità, per la parte che abbiamo visto contiene tantissime cose di buon senso, molte condivisibili, alcune no. Si scopre una cosa simpaticissima: basta ascoltare quello che succede fuori dal palazzo e le soluzioni ci sono. A quel punto le scelte da fare sono politiche. Temiamo che il problema di questo governo sia la politica, non il numero, la quantità e la qualità delle proposte.
Padoan – Separiamo le due cose. Il rapporto Colao è un elenco molto ricco di cose da fare per avviare il paese nella crescita. Non c’è un ordine di preferenze, che è essenziale poiché non si può fare tutto e subito. E il governo mi sembra che questo passo ancora lo debba compiere. Questo rispecchia un modo di interazione tra il mondo degli esperti e quello della politica: i primi devono indicare le opzioni possibili, tra cui ci sono anche dei trade-off, mentre i politici devono fare le scelte e dare una priorità. Va detto a merito di Colao che anche nel rapporto c’era un’indicazione di metodo (cosa si può fare subito, nel medio termine e nel lungo termine), anche se non sempre applicato in modo chiarissimo.
Gli incontri a Villa Pamphilj hanno mostrato una spaccatura tra le richieste dei sindacati e quelle di Confindustria. Eventi come questo aiutano a raccogliere gli spunti dalle parti sociali oppure esistono altri modi più efficaci?
Garavaglia – Gli “stati generali” sono una banalissima mossa alla Casalino. Non hanno nessuna utilità se non avere visibilità. Al di là di questo l’utilità è pari a zero, proprio perché è un doppione di cose che sono già state fatte. Io mi rifiuto di credere che il governo prima di fare il “decreto rilancio” non abbia sentito le categorie. E infatti le ha sentite, a Palazzo Chigi. Mi rifiuto di credere che il governo non abbia preso in considerazione i report ottenuti nelle audizioni in Parlamento sul “decreto rilancio”, infatti li ha a disposizione. Quindi che senso ha fare un terzo giro?
Padoan – Sicuramente ci sono modalità meno pompose. Il problema è che siccome ci sono tante cose sul tappeto, il governo deve indicare le sue priorità sulla ripresa. Per ora lo ha fatto per il contenimento dei danni, con il “decreto rilancio” che è soprattutto difensivo. Mi sembra che però sia importante dare un’indicazione sul futuro del paese anche a lungo termine: cosa intendiamo fare nei prossimi mesi per rilanciare la crescita? Questo è essenziale per l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund.
A settembre l’Italia deve presentare un piano per spendere i finanziamenti che potrebbero arrivare dalla Commissione europea. È una sfida enorme per un paese contraddistinto da forte litigiosità politica e che raramente riesce a spendere tutte le risorse europee in tempo e in modo efficace. Quali sono le mosse che servono alla politica per arrivare a presentare un piano di spesa e di riforme adeguato?
Garavaglia – Sgomberiamo il campo da un equivoco. Non è una novità di quest’anno che il governo debba fare il piano nazionale delle riforme. È un allegato alla legge di bilancio che si fa tutti gli anni, è normale amministrazione. Il problema non è mettere giù il piano di riforma, ma farle. Le faccio un esempio: il mondo è d’accordo sull’eliminare le storture del codice degli appalti di burocrazia difensiva. I contrari sono 5 Stelle e mezzo Pd. Quindi il problema è politico, non nella scelta da fare su cui tutti all’esterno sono d’accordo. Servirebbe un cambio di idea di chi siede nell’esecutivo, oppure cambiare il governo stesso. L’ideale sarebbe andare a elezioni.
Padoan – La prima cosa da fare è quella indicata dal ministro Gualtieri: utilizzare il piano nazionale di riforma finalizzandolo all’utilizzo dei fondi europei. Non dimentichiamoci che l’Europa ci chiede sì delle misure strutturali di investimento per ottenere i fondi, ma poi ci dice di fare da noi senza darci indicazioni vincolanti su quali scelte fare.
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