Il Settecento e la letteratura erotica
“Gamiani” uscì illustrato da una serie di immagini i cui autori, Achille Devéria, Octave Tassaert e da Édouard-Henri Avril, avevano dato il meglio nel rappresentare le più spiccate fantasie erotiche
Un giorno del settembre 1954. Nella libreria, a suo tempo celebrabile, gestita in via Sant'Anna a Genova da Amilcare Tolozzi e dal figlio Renzo, diciottenne, entrarono con piglio inquisitorio sei “funzionari” incaricati dal questore di compiere un sopralluogo. Esibirono il mandato. Risultava, secondo informazioni, che nella libreria si vendessero opere contrarie alla morale comune. Che in pratica voleva dire si commerciassero sottobanco pubblicazioni di natura pornografica. E benché l'attonito libraio si professasse assolutamente sorpreso dall'accusa di far smercio di materiale proibito, protestando la propria estraneità da un'accusa del genere, senza porre altro indugio, dopo aver chiuso dall'interno il negozio affinché nessuno potesse entrare o uscire, fu avviata la perquisizione. E si può immaginare cosa possa voler dire setacciare una libreria dedita al commercio di opere antiche, di libri usati o comunque ormai usciti dai cataloghi degli editori. Bisognava vederle le mani degli uomini della legge agguantare a mappate le opere dagli scaffali e, facendole scorrere, sillabare a mezza voce autore per autore e titolo per titolo. Un rosario mormorato. Amilcare Tolozzi, seduto in un angolo. Impietrito. Accanto a lui, a cingergli con il braccio le spalle, quasi a proteggerlo, il figlio Renzo. Ora c'è da chiedersi se quel bel gruppo di “inquisitori” incaricato da chissà quale burocrate pervaso da moralismo di compiere il sopralluogo per scovare “materiale contrario alla morale comune”, tra tutto lo scibile libresco adunato da quelle parti, in quella libreria, fosse al corrente di quali opere corrispondessero in qualche modo a quanto si riteneva dover trovare e, ovviamente, sequestrare. Da supporre che un cliente, più codino d'altri, magari per caso avesse sbirciato un libro di quelli che allora facevano avvampare d'ardore represso i benpensanti, e “offeso” nell'onor intimo suo, avesse fatto correre la voce che nella libreria di Tolozzi, dove per altro verso sera, tipo cabinet de conversation d'un tempo, si trovavano per ragionare di libri e varia umanità, alcuni degli uomini più colti e intelligenti della città, si potevano anche trovare libri cochon. Voce arrivata poi a qualche zelantissimo funzionario di questura. V'è da dire che allora Genova, come da sempre, era una città codina, amministrata e “guidata” più che dal potere politico dall'autorità del vescovo principe, quel tal cardinale passato alla storia come “il papa non eletto”.
Lo scartabello dei libri proseguiva. Il libraio Tolozzi pensava a quanto gli avevano riferito a proposito di una perquisizione compiuta nella biblioteca a casa del professor Giuseppe Rensi, il filosofo dello scetticismo. Allora erano altri tempi. Il fascismo imperante. Durante il sopralluogo era stato rinvenuto e sequestrato, come opera sovversiva, un esemplare della Repubblica di Platone. Intanto pensava a cosa vi fosse di contrario alla morale nella sua libreria: magari la copia della Philosophie dans le di De Sade, fortunatamente quel giorno “fuori del negozio”, prestata a un cliente che per acquistarla aveva voluto darvi una occhiata in privato. L'edizione era elegantemente rilegata e il prezzo un poco sostenuto. Tolozzi aveva convenuto che il cliente potesse esplorare l'opera con comodo, a casa, e fedele al rispetto per il libro, che doveva recarsi sempre sfasciato – un libro fasciato è un pacco – per l'opera di De Sade, però, e farla uscire dalla libreria, aveva precauzionalmente scelto di avvolgerla in un foglio di giornale. Semplicemente proteggere la legatura o evitare che qualcuno, sbirciando, avesse potuto individuare la natura del volume dalla peccaminosa fama?
Intanto, nella libreria, con gli “inquisitori” arrampicati sugli scaffali, libro per libro, il controllo andava avanti. In realtà più che individuare qualcosa di ignoto sembrava andassero scovando quanto sapevano di trovare. A un certo punto uno dei “cercatori” fece un cenno. Aveva trovato qualcosa. Teneva un libro sospeso, in punta di dita, tra il pollice e l'indice. Come bruciasse. Lo passò a colui che dal piglio esibito doveva essere “un capo” che, presolo, si avvicinò ad Amilcare Tolozzi. Con un acido sorriso, facendogli scorrere il volume davanti agli occhi, con cadenzata ironia disse: “E questo cosa è?”. E il libraio rispose: “Un libro filosofico”.
Si trattava della traduzione italiana di Gamiani, o due notti di eccessi (Gamiani, ou deux nuits d'excès), un breve romanzo erotico pubblicato nel 1833 in forma anonima, ma dovuto ad Alfred de Musset. Al suo tempo un vero e proprio bestseller della narrativa licenziosa.
La copia di Gamiani che l'uomo della questura faceva passare davanti agli occhi del libraio, che aveva sempre considerato quell'opera un classico dell'erotismo e pur nel suo taglio licenzioso di notevole qualità letteraria, a peggiorare la situazione era illustrata da una serie di immagini furiosamente esplicite, riproduzioni mediate da tavole i cui autori, Achille Devéria, Octave Tassaert e Édouard-Henri Avril, avevano dato il meglio nel rappresentare le più spiccate fantasie erotiche.
La perquisizione nella libreria Tolozzi con il rinvenimento di “un corpo del reato” portò all'immediato arresto di padre e figlio, accusati di commerciare materiale pornografico. Passarono quindici giorni nel carcere genovese di Marassi fin quando qualcuno, resosi conto dell'assurda vicenda costruita attorno a un libro, decise la loro scarcerazione e il proscioglimento. Di questo avvenimento consumatosi a Genova nel 1954 resta esemplare la dichiarazione del libraio di fronte all'edizione di Gamiani: “E' un libro filosofico”. Definizione cui si fa costantemente ritorno leggendo il recente Libri proibiti di Robert Darnton (prefazione di Daria Galateria, ed. Il Saggiatore, 464 pp., 35 euro) dedicato a romanzi erotici raffinati e scandalosi, alle feroci satire politiche, alle descrizioni utopiche di società ideali del XVII secolo: un “racconto” di come la letteratura, per ideali digressioni, possa porre le basi di cambiamenti sociali, anche epocali come una rivoluzione. Bisogna appunto tornare al tramonto dell'Ancien Regime, a “quel Settecento” per constatare la gran diffusione di “libri proibiti” il cui commercio reso euforico dalla richiesta dei lettori alla continua ricerca di nuove sensazioni, nel caso proprio attraverso opere a stampa, portò più di un libraio alla Bastiglia, incriminati per aver diffuso “libri filosofici”. Va a vedere l'affinità con la giustificazione del libraio Tolozzi il quale, ancora nel Novecento, i libri proibiti li definiva appunto livres philosophiques. Per aver venduto opere “di quel tipo”, nel pieno Settecento, la libraia Marie Suisse Lécuyer, un garzone e un rigattiere furono esposti per giorni alla gogna nelle piazze di Parigi con l'infamante cartello giustificativo della pena: “Venditori di libri empi e immorali”. Garzone e rigattiere condannati poi per cinque anni a remare nelle galee, come avessero attentato contro lo stato. E i libri erotici sequestrati inceneriti pubblicamente tali ad autentici incubatori e insufflatori di menti ammalate votate a chissà quale cospirazione sovversiva. Che sarebbe poi come dire che i dettagli degli intimi deliqui di madame de Merteuil messi in piazza nelle Liaisons dangereuses infocolassero chissà quale sotterraneo intrigo contro il potere. La verità era che quelle pagine emananti fragranze di sesso, oltre a esplicite narrazioni di tutta la “ginnastica erotica”, nutrivano un sottofondo di non troppo scoperte stoccate contro la corte, la chiesa, l'aristocrazia, l'accademia, i salotti e la monarchia. Libri immorali? Proibibili? Non certo fini a se stessi. Libri i cui autori si preoccupavano con le esibite dissolutezze, le oscenità, le pettegolerie… di infilare nelle loro pagine maliziose insinuazioni politiche e sociali.
E allora proviamo a chiedercelo se veramente una ipotetica rivoluzione potrebbe affiorare in un popolo che coltivi le proprie idee attraverso la lettura di libri licenziosi. E curiosamente a capire se la condanna in vincoli di certe biblioteche del passato si debba alla necessità di salvaguardare l'intima morale dei cittadini e nello stesso tempo al bisogno di evitare che taluni coltivino pensieri insani nei confronti del potere. Attenzione perciò a donare biblioteche. Peggio se sono collezioni di opere tematiche: libri erotici? Basterebbe l'esempio di Henry Spencer Ashbee. Volle offrire al pubblico godimento la sua collezione – tutti libri di quella specie là – che mise in imbarazzo l'impassibile direttore della biblioteca del British Museum cui erano destinati i libri del nobile inglese. I volumi furono accolti e messi sotto chiave, per separare dal mondo, in un luogo discreto, un pianeta peccaminoso, groviglio di misteri, anche se a suo modo sacrale. Un ambulacro nascosto. Anche scrigno. Sulla porta fu collocata una targhetta “Arcana”. Finì così in un remoto stanzino buio l'inguardabile invidiatissima collezione di un nobiluomo, la cui consultazione era ambita da personaggi come Burton e Swimburne… Storia speculare a quella di tal monsignor Bégis i cui libri “osceni” che, destinati in eredità “à la France”, furono sepolti, per essere dimenticati, in una segreta della Bibliothèque Nationale a Parigi, anni dopo fortunatamente resuscitati da Guillaume Apollinaire che sotto il titolo L'Enfer pubblicò il catalogo di quelle opere definite “folli e socialmente pericolose”.
Definizioni ben lontane dall'illuministica sentenza dell'abbé Grégoire: “Le opere erotiche servono alla storia dell'umanità, dei costumi, delle consuetudini e delle arti. Sulla scorta di queste edizioni un osservatore acuto giudica sovente il secolo che le ha viste nascere”.
L'abbé Grégoire era un uomo della Rivoluzione, sosteneva le avanguardie, proteggeva gli ebrei e la gente di colore, difendeva il patrimonio artistico contro il vandalismo e voleva si creassero biblioteche pubbliche. D'altra parte il suo secolo, il Settecento, fu quello che produsse la maggiore ondata di libertinaggio stampato dove si pavoneggiarono Voltaire, Diderot, Crébillon, Restif de la Bretonne, poi Rousseau, che non smise di esibire onanismi stampati, e il più celebrato di tutti, Donatien-Alphonse- François de Sade, il Divin Marchese. E tanto per fare un esempio, in una vagheggiabile dark room libresca non dovrebbe assolutamente mancare, nel suo genere, un classico, quell' Erotika Biblion – con l'augusta, ovviamente ironica, e depistante indicazione: stampato nel 1783 à Rome, de l'imprimerie du Vatican – opera dovuta a quell'originale personaggio che fu Honoré Gabriel Riqueti, comte de Mirabeau.
L' Erotika Biblion è una dissertazione sulla sessualità degli antichi che Mirabeau scrisse attorno al 1780 durante il periodo di una sua detenzione nel carcere di Vincennes dove, casualità delle predestinazioni, incontrò De Sade. Con un piccolo sforzo di fantasia, se mai fu loro concesso, si possono idealmente immaginare gli “alti colloqui” dei due: sicuramente, va a vedere i tipi, tra sesso e politica. D'altra parte la prigionia fu il fulgore della creatività di Mirabeau, anche se l'opera di questo cultore di letteratura libertina risulta a tratti una impaginata di noia. Come, bisogna confessarlo, sono sovente il libri erotici. Subitanee vapeurs lasciano posto a sconsiderati sbadigli. Senza però, helàs, andare oltre, qualche vaghezza di curiosità nell'opera di Mirabeau può tuttavia accendersi per grazia dei titoli d'alcuni capitoli: L'anélytroïde, La tropoïde, Le thalaba, L'anandryne, L'anoscopie, La linguanmanie…
Quest'augusto autore di malinconiche esaltazioni erotiche era stato fatto rinchiudere in carcere dal padre per sottrarlo ai creditori. Esiliato forzatamente nel castello di Joux, nel dipartimento di Doubs, scoccò in lui la frenesia scrittoria che riversò nelle Lettres à Sophie, capolavoro di letteratura passionale: missive idealmente inviate a Sophie de Monnier, sua amante, rinchiusa in un convento a Gien.
Questa corrispondenza, in cui svolge un ruolo importante Jean-Charles-Pierre Lenoir, luogotenente generale della polizia di Parigi, che controllava Mirabeau, fu pubblicata nel 1792 da Pierre Louis Manuel che, fervido ammiratore del conte de Mirabeau, scrisse nella prefazione: “Mi congratulo con me stesso per essere stato non soltanto uno dei vincitori della Bastiglia, e a un tempo uno degli amministratori della polizia! La giustizia eterna ha misericordiosamente voluto che, essendo io l'uno e l'altro, avessi modo nel ricordo di rendere giustizia a un grande uomo”. E certo. Altro non poteva essere, giacché Mirabeau, nella convinzione dei rivoluzionari, era quell'esemplare autore di letteratura erotica che sottintendeva con l'opera sua la diffusione proprio di idee rivoluzionarie. Un personaggio contraddittorio: aristocratico per nascita ed anche per tratti, così lo raccontano, autore di opere di erotismo ardito e poi celebrato per Des lettres de cachet et de prisons d'État, un furioso libello contro l'arbitrarietà della giustizia del tempo.
Il vertice del collezionismo libresco scollacciato fu toccato tuttavia nel XIX secolo, quando il rigore moralistico costrinse gli amateurs a fornicare con i libri proibiti nel più segregato segreto, nonostante leggi che avevano abolito, già dal Settecento, il reato di “possesso di materiale pornografico”. La massoneria dell'erotismo veniva frequentata allora da insospettabili signori che sceglievano il complice silenzio delle loro biblioteche con il medesimo ardore con cui si abbandonavano all'oppio. E magari frequentando qualche maison. Tuttavia, in compagnia della preferita letteratura, nei loro harem cartacei, arrotando occhi e fantasticherie prorompevano in ardenti caldane mentali, ai quali cooperavano, tipo sontuosi ruffiani, editori “alla macchia” che stampavano le eccitazioni di Jouy, librettista di Rossini e, “a tempo perso”, autore di Sappho ou les lesbiennes, pubblicavano De Musset, Gamiani ou deux nuits d'excès, Mérimée, La Venere d'Ille, compresa la bella pattuglia di grandissimi: da Baudelaire fin all'iperbolico Sonnet du trou du cul di Verlaine.
Quella fu l'epoca gloriosa che rese ancor più ricercati i già rari classici licenziosi dei secoli passati: i sonetti lussuriosi dell'Aretino e gli autentici capolavori letterari di Ferrante Pallavicino: La retorica delle puttane e l'Alcibiade fanciullo a scuola, ammiratissimo quest'ultimo da Wilde che, per non essere da meno nella partita, pare scrivesse febbrilmente lo smisurato Teleny, sul quale ancor oggi si discute se attribuirlo al sublime Oscar o a qualche anonimo della combriccola del garofano verde. Curiosa metafora della vita umana, la collezione di libri sexy è una singolare forma di accumulo delle diversità. Aggiungere un pezzo alla raccolta schiude strade verso moltiplicati infiniti. Un catalogo di edizioni erotiche, specialmente quando inventaria quelle introvabili — impresse magari in sei copie —accresce la cupidigia, sollecita una licantropia che spinge alla ricerca di ardori nuovi. Suscitatori di effervescenze lascive, per il bene generale, “quei libri”, come s'è visto, furono accortamente rinchiusi: ecco il senso degli “Inferni”, luoghi di frequentazioni arcane cui erano ammessi esclusivamente gli studiosi il cui fine era diagnosticare l'insanità che aggrediva chi avesse osato sbirciare cotali pagine, indugiando nella loro lettura e facendosi surriscaldare dalle più che esplicite illustrazioni.
Poi i tempi e le contingenze storiche mutando fanno ovviamente modificare i punti di vista e inducono a sorridere su qualcosa che fin al giorno prima era follemente considerato pericoloso per il cittadino e per la società. “Certi libri” tipo Le canapé couleur de feu, L'Art de foutre, e soprattutto Histoire de dom B., portier des Chartreux, vere e proprie olimpiadi di lascivi tour de force, autentici bestseller della specialità che avevano l'esclusiva finalità di provocare vapeur nel lettore, oggi più che eccitare inducono allo sbadiglio. Fanno semmai sorridere a paragone del contemporaneo pornostrong per immagini diffuso in tutti i social. Quelle degli antichi aulici autori sono opere che si “esplorano” ormai con la curiosità dovuta a reperti archeologici. Anche perché, nei tempi correnti, il “genere pornografia”, qual devianza del gusto, non appartiene più ai ludi venerei esibiti sulle pagine di libri scritti con stile ma alla diffusissima mala qualità di quella che viene impropriamente ancora definita genericamente letteratura. E neppure al nostalgico osceno di una sana pornografia, imperando in questo tempo il cattivo gusto, la scrittura trascurata, le storie inutili e insensate. E' la povertà delle idee naufragate nell'oceanica e ingannevole contemporanea produzione di libri superbamente “osceni”, furiosamente illeggibili pur decantati quali capolavori sempre in corsa all'olimpiade delle ingannevoli e scriteriate classifiche dei più venduti. Viviamo una “pornografia deviata”, ovvero una “pornografia del quotidiano”. Quella dei tempi che non produrrà purtroppo nessuna “rivoluzione”, destinata com'è ad affondare nelle sabbie mobili di una diffusa rincorsa a perdifiato verso l'imbecillità. Declinata per buon peso sull'esibito uso di frenetica twittaggine e da una dipendenza, il linguaggio singultato da sex blogger, con inessenziali formule d'intesa: Sexting, Epic Fail, Match, Ons, Dick Pic…
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