Smart work Act
Milano. Se il lavoro è flessibile, non lo è solo nei contratti. Ma anche nelle modalità di svolgimento. Grazie a smartphone, tablet e pc portatili, certo. Ma anche come conseguenza dell’evoluzione delle esigenze di dipendenti e aziende. Per rafforzare il Jobs Act, il governo sta già lavorando su altre misure di flessibilità, a partire da una regolamentazione sullo smart working, il lavoro agile. Si tratta di mettere in grado i dipendenti di lavorare senza essere vincolati a un luogo o a una presenza fisica. Il lavoro è come il telefono, mobile. E per farlo bene non è più necessario rimanere incollati alla scrivania, in cattività. Armati di tablet e portatile, si può lavorare da dove si vuole. E si è più produttivi. Detta così, è una soluzione di buon senso ai tempi dell’iphone e del Cloud. Per le aziende è però una rivoluzione culturale, organizzativa e manageriale, che per decollare ha bisogno di superare punti critici e trovare risposte in un quadro normativo. La missione è stata affidata dal governo a Tommaso Nannicini, professore dell’Università Bocconi e nella task force economica di Matteo Renzi, che sta preparando insieme al collega Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro, un documento che migliori una precedente proposta legislativa sul tema, la Mosca-Tinagli. Che però non era un disegno di legge di iniziativa governativa e presentava alcuni punti deboli. “Oggi si tratta di fare un ddl di iniziativa legislativa portandolo al Cdm con un ministro proponente – dice lo stesso Del Conte al Foglio – E’ il governo che è intenzionato a lavorare su questo tema e noi stiamo cercando di stendere un articolato sentendo imprese e sindacati per vedere quali possono essere gli elementi di miglioramento rispetto alla legge Mosca”.
“Spero che l’iter possa essere abbastanza veloce – dice Del Conte – Dal punto di vista tecnico saremo pronti tra qualche settimana. Credo che la politica abbia interesse a far partire questo ddl insieme a un intervento sul lavoro autonomo, comunque nei tempi della delega del Jobs Act. Non è un tema incluso nella delega ma penso possa viaggiare in parallelo. Confido che sia questione di qualche mese”.
Tra i manager delle risorse umane non mancano gli interrogativi. Come gestire il rapporto con la privacy del dipendente se il dispositivo su cui lavora è controllabile? Se il report sulla riunione arriva a mezzanotte, è legittimo? E gli straordinari? Come assicurare un “lavoratore mobile”? Tutti punti su cui il nuovo testo vuole intervenire. Per le aziende il passaggio normativo non è irrilevante. “Una regolamentazione è importante per favorire il coordinamento e aiutare le aziende”, dice al Foglio Silvia Parma, capo del personale di Abb dove a marzo lo smart working ha coinvolto per due giorni al mese 714 persone nelle 13 sedi italiane. Nella multinazionale dell’ingegneria la scintilla s’è accesa nel 2014 con la prima Giornata del lavoro agile indetta dal comune di Milano, ripetuta lo scorso 25 marzo quando, per un solo giorno, lo smart working è sbarcato in 144 tra enti (ad esempio i comuni di Genova e Bergamo) e aziende. “Avere il sostegno delle istituzioni e dei lavorati già informati – dice Parma – ha agevolato la parte della comunicazione e ci ha permesso di partire avviando un cambiamento culturale in azienda”. “Lo smart working non deve passare come un progetto per sole donne: è per tutti e serve a portare innovazione basata sulla fiducia, responsabilizzazione e lavoro per obiettivi”. Ma è pure una strategia per reagire alla crisi: “Ci siamo trovati con 100 persone tagliate e la necessità di centrare gli stessi obiettivi di business. Abbiamo reagito dando alle persone l’opportunità di lavorare dove e quando sono più produttive”, dice Silvia Nova dell’americana Plantronics (produce cuffie audio) dove fra poco lo smart working debutterà, anche in Italia. Esperienze partite in ordine sparso, in genere nelle realtà più strutturate e che riguardano per ora ancora solo il 10 per cento delle aziende in Italia, ma che si stanno diffondendo. A Bergamo è nata una “Alleanza smart working” tra diverse imprese tra cui Ubi, Volvo, Italcementi, Abb e Banco popolare dove da febbraio alcuni dipendenti possono lavorare due volte la settimana da casa o dalla filiale della banca più vicina. Più soddisfazione e riduzione dello stress per i dipendenti, ben diverso dal telelavoro, assicurano gli esperti del settore. Ma anche più efficienza e risparmio per le aziende, che riescono a ridurre i costi anche del 20-30 per cento.
[**Video_box_2**]Lo hanno già capito Microsoft, Ibm, ma anche Unicredit, dove sono coinvolti circa 3 mila dipendenti. “Ci siamo accorti che gli spazi fisici sono occupati per la metà del tempo: per il tipo di lavoro o perché il dipendente è in trasferta, in malattia o ferie. Abbiamo così deciso di applicare il concetto di sharing alle scrivanie stabilendo 80 postazioni per 100 persone”, ha detto Paolo Gencarelli, responsabile real estate di Unicredit, durante un convegno organizzato ieri dall’Associazione SmartforExpo. All’Unicredit Tower di Piazza Gae Aulenti la scrivania è così diventata “mobile”: ogni mattina sempre più dipendenti aprono il proprio armadietto, prendono il pc portatile e le carte necessarie e trovano una postazione libera in cui piazzarsi. Non più a lungo di una giornata però. La sera si libera tutto e via di nuovo verso l’armadietto, per ricominciare daccapo la mattina successiva. Lì in azienda o da casa o in altri edifici Unicredit sparsi nella città. Con vantaggi anche per la collettività. Nella sola Milano, ha calcolato la banca, da giugno 2014 i 500 dipendenti coinvolti hanno ridotto di 40 mila chilometri gli spostamenti: una volta il giro del mondo. I benefici possibili vanno dal minore inquinamento, al risparmio sia di risorse sia di tempo. Soprattutto in vista di Expo, quando sotto la Madonnina arriveranno (prevede l’organizzazione) 21 milioni di visitatori e il capoluogo meneghino sarà piuttosto affollato.