Manuel Valls e Francois Hollande (foto LaPresse)

Perdersi i francesi

David Carretta
La Francia si traveste da Grecia e i sindacati ora protestano contro un’austerità che proprio non c’è

Bruxelles. Il 17 novembre del 2012, sei mesi dopo l’insediamento di François Hollande all’Eliseo, l’Economist pubblicava una cover con la “bomba a scoppio ritardato nel cuore dell’Europa”: la Francia era raffigurata come un fascio di baguette pronto a esplodere. Il 31 marzo del 2014, dopo la sconfitta alle elezioni amministrative, il presidente francese nominava Manuel Valls come premier per dare corpo alla svolta del “socialismo sul lato dell’offerta” (riforme e risanamento di bilancio). Mercoledì il governo ha annunciato una crescita dell’1 per cento per quest’anno. Ma la sentenza dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico è senza appello: Parigi “ha iniziato ad attuare una serie di importanti misure strutturali pro crescita, ma per rilanciare la crescita nel medio termine sarà necessaria un’azione più ambiziosa per riformare il mercato del lavoro” e “tagliare gli alti livelli di spesa pubblica e tassazione”, scrive nel rapporto annuale sulla Francia.

 

Senza rendersene conto, “la Francia corre il rischio di diventare una grande Grecia”, ha scritto Arnaud Leparmentier sul Monde. “La battaglia per l’economia europea” non si gioca “ad Atene, ma a Parigi e Roma”, ha constatato sul Wall Street Journal, Klaus Zimmerman, direttore dell’Istituto per gli studi del lavoro di Bonn: la “sorpresa” è che “la Francia può imparare dall’Italia”. Se il governo di Matteo Renzi sta usando lo spazio del Quantitative easing della Bce per accelerare sulle riforme, quello di Hollande-Valls si sta accomodando sui tassi a zero e su una ripresa ciclica. A poco più di sei mesi dalle elezioni regionali, e con i frondisti del Partito socialista e i sindacati in ebollizione, la spinta riformista di Hollande-Valls sembra esaurita.

 

I sindacati ieri sono tornati a manifestare e scioperare per “dire stop all’austerità” in Francia. In vista del congresso del Ps di giugno, l’ala sinistra e i frondisti si sono alleati per presentare una mozione comune ed esigere dal governo un programma di spesa pubblica destinata ai “più sfavoriti, agli alloggi e all’equilibrio territoriale”. Eppure i dati dell’Ocse mostrano una storia molto diversa da quella raccontata dai sindacati e dalla sinistra del Ps, e che ricorda quella che ha portato la Grecia all’impossibilità di ripagare i debiti: con l’austerità di Hollande-Valls (21 miliardi di tagli per il 2015, 50 miliardi nel triennio) “la spesa reale continuerà a salire leggermente”, così come il debito pubblico che si sta avvicinando al 100 per cento del pil. Risultato: se i tassi di interesse “tornano a un livello normale, il peso del debito sarà insopportabile”, dice Leparmentier. Il cento per cento del pil “sarà difficile da sostenere se e quando i tassi di interesse inizieranno a salire”, conferma l’Ocse.

 

[**Video_box_2**]Lo spazio per politiche neokeynesiane non esiste, perché la Francia è già un paese strutturalmente neokeynesiano. Nel 2014 – rileva l’Ocse – la spesa pubblica era al 57,4 per cento del pil, il record assoluto dietro alla Finlandia. Dal 2000 “la spesa pubblica è cresciuta di 6,2 punti percentuali”, mentre in Germania è calata dello 0,3 per cento. Lo stato occupa il 22 per cento della forza lavoro complessiva. Con un livello di tassazione secondo solo alla Danimarca, la Francia ha ridotto “gli incentivi di lungo periodo ad assumere, risparmiare e investire”. Anche il giudizio sulla loi Macron non è lusinghiero: i controlli imposti alle professioni sono “sproporzionati”; le regole per aprire i negozi la domenica sono “complesse”; “l’impatto” delle riforme sul mercato del lavoro rimane “limitato”. Per l’Ocse la priorità dovrebbe essere liberalizzare il lavoro e ridurre la spesa pubblica per tagliare le tasse. Ma loi Macron 2, che sarà presentata a breve, si concentrerà sugli investimenti per evitare che i frondisti del Ps minaccino il governo Valls.