Così il tandem Marchionne-Renzi mette in crisi il sindacato antagonista
E’ ancora fresco l’annuncio dell’ultimo tassello della rivoluzione Marchionne, ma l’opinione pubblica sembra non aver compreso cosa si cela dietro la partecipazione dei lavoratori ai risultati dell’impresa. Lo ha ben compreso il sindacato, diviso tra l’aderire alla nuova linea salariale e il sentirsi fuorigioco, tanto da dire che “è stato cancellato il nostro ruolo”.
In Italia quello di partecipazione agli utili è un fatto certamente positivo per il lavoro e innovativo, a tal punto che il presidente di Fiat John Elkann dice “tutto è cambiato, per sempre”. La nuova politica salariale presentata da Marchionne è stata possibile grazie alla radicale trasformazione degli assetti contrattuali che hanno portato Fca ad avere una contrattazione collettiva autonoma, al di fuori del sistema confederale e oltre il contratto nazionale della metalmeccanica, crescendo così produttività e redditività su un impianto di prossimità all’impresa e uniforme sul piano nazionale (il contratto di Pomigliano viene in un secondo momento esteso a tutto il gruppo). Marchionne ed Elkann annunciano così la fine della contrapposizione tra capitale e lavoro, la cui visione antagonistica dei loro rapporti ha prevalso nella storia e nella cultura delle relazioni industriali in Italia. Questo è proprio ciò che ha impedito lo sviluppo di pratiche di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nella gestione dell’impresa.
Ad ogni modo, non c’è dubbio che la novità della partecipazione agli utili riduca lo spazio del sindacato conflittuale. Ecco perché c’è chi protesta (vedi Cgil e Fiom), prendendo le distanze dal nuovo sistema retributivo presentato da Marchionne; c’è tuttavia chi – come Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri – sposa la nuova linea di Fca e sottoscrive così un verbale d’intesa per l’adozione del nuovo sistema retributivo.
E’ comunque importante capire questa preoccupazione degli ambienti sindacali che protestano, che poi sono quelli che non hanno firmato gli accordi con Fiat e sostenuto il piano industriale di Marchionne in Italia. Camusso e Landini sanno bene come la situazione generale sta evolvendo, e sentono sempre più ridursi il loro raggio d’azione. La linea Marchionne-Renzi li ha silenziosamente stretti in una morsa. Ancora una volta, infatti, Marchionne e Renzi si danno la staffetta come già successo pochi mesi fa dopo l’approvazione della legge di stabilità – e dell’incentivo per le assunzioni a tempo indeterminato – e il decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti: il manager italo canadese annunciò l’assunzione di 1.500 persone a Melfi e la fine della cassa integrazione, ringraziando Renzi e il suo Jobs Act.
[**Video_box_2**]Ora, uno dei prossimi decreti attuativi del Jobs Act è quello relativo al salario minimo: è prevista infatti dalla legge delega l’introduzione di un corrispettivo orario minimo applicabile ai rapporti di lavoro subordinato e, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nei settori non regolati dai contratti collettivi nazionali. E’ chiaro che molto dipende da come la materia sarà normata e da che futuro avrà la disciplina del salario minimo (quali settori, quale fasce di lavoratori, etc); ma se la direzione è questa, cioè quella di una legge che stabilisce i minimi salariali – che un domani appunto potranno essere universali e interprofessionali – qual è il futuro del sindacato? Quale sarà la sua funzione? Quale ruolo per le confederazioni e la tripartizione sindacale? Le domande restano aperte. Quel che è certo che l’opera di ridimensionamento del potere sindacale, e di alcune sue patologie, sta procedendo. Marchionne ne ha avviato la riforma, Renzi – se non cadrà – la concluderà. I sindacati, anche quelli d’impresa, sono chiamati a rivedere molte funzioni e prassi consolidate. E’ anche vero che non tutti ne sono così dispiaciuti.
Giuseppe Sabella è direttore esecutivo di Think-in