Il rischio della palude
Per Renzi niente scorciatoie contabili. Il “tesoretto” è blindato
Roma. Di qua #lavoltabuona; di là il cacciavite. Di qua il ritorno allo spirito del Jobs Act, e di quelle slide invise ai fini palati ma alle quali l’Europa e le imprese hanno creduto; di là il re-impantanamento nella palude sindacale e politica. Di qua la puntata su una ripresa solida e sulle riforme; di là il tesoretto di 1,6 miliardi ritagliato su una contabilità ipotetica e minimalista, se il pil cresce un decimale oltre le stime. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è al bivio tra premere di nuovo l’acceleratore o mettersi banalmente in scia dei noti eventi eccezionali (euro debole, tassi bassi, greggio a buon mercato, ombrello della Banca centrale europea); e ieri dal Consiglio dei ministri è venuto un parziale “proviamoci”. Nulla di spettacolare per i non addetti, l’approvazione di tre decreti della delega fiscale, e tuttavia “un passo avanti per semplificare la vita al contribuente e alle imprese che investono in Italia o vogliono internazionalizzarsi”, come ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Si tratta di concordare con l’Agenzia delle entrate il tax ruling, cioè la certezza del trattamento fiscale più favorevole, una garanzia che nel nord Europa esiste da tempo. A questa norma segue la fatturazione elettronica (facoltativa) che a sua volta comporta la riduzione da parte dell’erario dei termini di accertamento. Con la tracciabilità digitale il governo rinuncia dunque al raddoppio dei tempi agitato sull’onda mediatica degli scandali degli appalti. Raddoppio che avrebbe comportato un abuso del diritto oltre a complicare la vita alle imprese. Altri tre decreti slittano a giugno, e tra questi il riordino delle pene per i reati tributari: “L’obiettivo – dice Padoan – resta un fisco collaborativo”.
Un segnale che cade mentre piovono sul governo inviti a completare le riforme: da parte della Banca centrale europea, della Banca d’Italia, del nuovo Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), della Confindustria, fino all’agenzia Moody’s. Quest’ultima ha emesso una “credit opinion” che ipotizza un aumento del rating italiano – oggi Baa2 – “se si registrasse un effettivo rafforzamento delle prospettive di crescita indotto da un’implementazione delle riforme economiche e del mercato del lavoro”. Moody’s, che ha già portato l’outlook da negativo a stabile, ha in calendario una prima revisione del rating il 12 giugno e una seconda il 9 ottobre. Un miglioramento di un gradino porterebbe a quota Baa1, di due significherebbe il ritorno in zona A dalla quale l’Italia manca dal luglio 2012 per le maggiori agenzie – oggi solo Dbrs mantiene A low – e soprattutto sarebbe la prima inversione di tendenza dopo i declassamenti ininterrotti dal 2010. La Bce nel rapporto annuale ha richiamato Italia, Francia e Portogallo a “un’azione decisa sulle riforme strutturali”, collegandola anche alla messa in sicurezza dall’eventuale default greco. A entrare nel merito di tesori e tesoretti sono stati in poche ore la Banca d’Italia, l’Upb e la Corte dei Conti. Tutti chiedendo la stessa cosa: conservare le (eventuali) risorse per rafforzare i conti pubblici, anziché disperderle. Il tesoretto verrebbe ricavato da una crescita superiore di un decimale allo 0,7 iscritto nel Def (Documento di economia e finanza), e sulle ricadute sul deficit concordato con Bruxelles, che già beneficia delle clausole di flessibilità.
[**Video_box_2**]“Un elemento non acquisito”, nota l’Upb. Più circostanziato Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d’Italia: “Nel 2015 un miglioramento dei saldi sarebbe dovuto interamente ai minori interessi sul debito”. Mentre per la crescita vera e non contabile Banca d’Italia invita ad attuare “con sollecitudine” le misure previste dal Jobs Act e a rimettere in calendario le privatizzazioni. Non solo. Rinunciare al “tesoretto” ora, i maggiori introiti derivanti dall’operazione del 730 precompilato (le rinunce alle detrazioni sono state stimate in un paio di miliardi), oltre al rafforzamento delle riforme che nelle stime europee darebbero all’Italia un margine di 6-7 miliardi, potrebbe significare trovarsi a fine anno con dieci miliardi in più. Un tesoro. In serata Padoan ha voluto rassicurare tutti spiegando che le risorse eventuali serviranno per “misure coerenti con il processo di riforme intrapreso”.