Decidere o non decidere
Renzi cerca di stare alla larga dalle rogne del Corriere della Sera
Roma. Il nuovo consiglio d’amministrazione della Rcs Mediagroup, nominato ieri dall’assemblea dei soci, è di fatto in conclave per la scelta del successore di Ferruccio de Bortoli alla direzione del Corriere della Sera. Scelta che dovrebbe avvenire a giorni in una rosa di nomi con new entry (Antonio Polito, Sarah Varetto) ed evergreen (Carlo Verdelli, Mario Orfeo) fino a Luciano Fontana, condirettore di FdB e padrone della macchina di Via Solferino, il quale come da tempo si dice farebbe il traghettatore (anche se i traghettatori una volta che salgono sulla nave non sempre poi scendono) fino al futuro direttore forte e lungamente annunciato, che ha sempre il profilo di Mario Calabresi, scrittore di successo e numero uno a la Stampa di Torino, candidato di John Elkann, presidente Fiat e socio principale (con il 16,7 per cento) di Rcs. Ma il tempo di Calabresi non è maturo, come ha ammesso persino il direttore della Stampa. A ben vedere però la novità è un’altra: da una nomina sempre cruciale all’epoca di poteri forti & salotti buoni, e dunque sensibile per chiunque fosse al governo (o nelle procure), stavolta Palazzo Chigi si tiene alla larga. Matteo Renzi un po’ è disinteressato; un po’ sa che i poteri sono meno forti e i salotti meno buoni; un po’ vede che la freddezza nei suoi confronti del principale quotidiano italiano (che la routine seguita a presentare come “espressione della classe dirigente”) non gli ha fatto un briciolo di danno, anzi; un po’ infine è allergico ai blasoni ereditari: insomma il premier si è limitato a far filtrare che, sì, un’impresa come il Corrierone dovrebbe avere un direttore pieno, in analogia con le aziende che funzionano – tra queste certamente mette Palazzo Chigi – altrimenti facciano come vogliono.
Novità appunto, se si guarda ad alcune direzioni precedenti su cui la politica ha avuto un suo peso (da Stefano Folli a Piero Ostellino). E novità rispetto ai tempi in cui, per esempio, la sinistra, specie quella prodiana, si sentiva garantita dagli endorsement di Paolo Mieli, in sella nel ’92-’97 e 2004-2009, nonché dalla partecipazione alle primarie governative di azionisti eccellenti tipo Giovanni Bazoli, Corrado Passera e Alessandro Profumo già controllore di Mediobanca. A Renzi, invece, De Bortoli non ha concesso lo stesso credito, indugiando semmai ancora nello spleen lettian-prodiano: “Mi è dispiaciuto il modo in cui è stata chiusa la vicenda di Enrico Letta” disse a Salvatore Merlo del Foglio nel febbraio 2014. “Per ora siamo alla sceneggiata dannunziana, mi auguro che Renzi abbia successo, ma tutto è più complicato di come appare”. L’unico punto sul quale Renzi ha offerto una sua indicazione di massima rispetto al futuro del Corriere è la possibilità di avere un “direttore forte” ed è una linea che combacia con quella di Diego Della Valle, terzo azionista (7,3 per cento) dietro Agnelli e Madiobanca: azionista sempre in movimento, in lite con Bazoli ed Elkann (con il quale però i rapporti sono meno freddi di un tempo). Il proprietario di Tod’s aveva anche baruffato con Renzi finché ha fatto pace, e ora, chissà, il feeling echeggia anche nei saloni blasé di Via Solferino. In realtà il nuovismo di Della Valle inizia a fare breccia, però attraverso altri: tra i nuovi azionisti il fondo americano Invesco si è issato al quarto posto, mentre Urbano Cairo ha dichiarato il 4,6 per cento, più dei blasonati Intesa e Pirelli. Invesco, rappresentato da Assogestioni, ha avuto un buon successo nell’elezione dei consiglieri, ottenendone due con quote superiori al listone Agnelli-Della Valle-Pirelli-Intesa (che ha comunque sei consiglieri, tra questi il presidente Maurizio Costa e l’ad Pietro Scott Jovane); Cairo ha anche lui nominato un consigliere. Dunque il nuovo cda, oltre a rispecchiare il vecchio nucleo litigioso, non appare più neppure formalmente compatto. E le decisioni incombono: oltre alla nomina del direttore, c’è quella sulla vendita del settore libri alla Mondadori, strategica per fare cassa. “Se ci dicono no allora mettano i soldi per l’aumento di capitale”, stuzzica Ernesto Mauri, ad di Mondadori, confermando che entro il 29 maggio la casa di Segrate presenterà un’offerta vincolante. In Via Solferino, mentre tra baruffe e languori finisce l’era di FdB, urge stringere i bulloni.