Draghi tra spinte sviluppiste a Renzi e nuove sfide alle banche
Roma. La macchina del Quantitative easing (o allentamento quantitativo) marcia a pieno ritmo e sta producendo già i primi effetti positivi. Ma due grandi nubi oscurano l’orizzonte: la prima incombe su un sistema bancario ancora bloccato, la seconda sugli investimenti che stentano a partire. La Banca d’Italia ha pubblicato ieri uno studio a cura di Pietro Cova e Giuseppe Ferrero pieno di stime incoraggianti. Le cifre chiave sugli effetti macroeconomici per l’Italia sono già nell’ultimo Bollettino economico di Via Nazionale e mostrano che l’intera crescita del pil prevista quest’anno (cioè mezzo punto percentuale) dipende proprio dall’impatto del Qe sui consumi (per circa lo 0,4 per cento), sugli interessi (una riduzione di 85 punti base per i Btp decennali) e soprattutto sul tasso di cambio: tra il 6 novembre 2014 (quando è stata annunciata la svolta di politica monetaria) e il 10 aprile scorso, l’euro si è svalutato del 10 per cento nei confronti dei principali partner commerciali dell’Italia.
L’anno prossimo questi effetti saranno ancora migliori e aggiungeranno un altro 0,9 per cento al prodotto lordo, contributo determinante visto che le previsioni del Def danno un aumento dell’1,4 per cento. Matteo Renzi, dunque, non dovrebbe smettere di ringraziare Mario Draghi. Secondo le analisi che circolano a Francoforte, poi, l’Italia trae dal Qe un beneficio maggiore alla media, proprio grazie all’impatto più forte sul costo del denaro. Un sollievo consistente anche per le banche con un aumento dei profitti lordi pari a circa 1,7 miliardi nel biennio (300 milioni quest’anno, il resto nel 2016), dovuto alle plusvalenze sui titoli pubblici e privati acquistati dall’autorità monetaria. Ciò “potrebbe rafforzare il grado di patrimonializzazione e di redditività – scrive lo studio – migliorando le condizioni di offerta del credito”. Il Qe comporterebbe nell’immediato una diminuzione di 20 punti base del costo medio dei nuovi prestiti erogati alle imprese e di 35 punti base di quelli destinati alle famiglie. Ma l’effetto è frenato dallo stato di salute del sistema bancario. Su questo punto è in corso nella Bce un grande dibattito e uno scontro di opinioni e di interessi. Tutti sono d’accordo sul fatto che l’Eurolandia sia troppo bancocentrica. Bisogna creare altri mezzi per canalizzare il risparmio verso gli investimenti e intanto vanno rafforzate le aziende di credito. Per alcuni (soprattutto nei paesi del nord) occorre aumentare il capitale delle banche in modo consistente e rapido. Dello stesso avviso è anche il Financial stability forum che ha presentato un progetto all’ultimo G20. In questo ambito, si vorrebbe mettere un tetto del 25 per cento alla quantità di titoli di stato in bilancio, una proposta che penalizza alcuni paesi, in primo luogo l’Italia. E’ una misura prudenziale, perché non è vero che i titoli sovrani sono esenti da rischi. Vero, ma forse lo sono i derivati dei quali si sono rimpinzate le banche spagnole, olandesi e soprattutto tedesche? Il bilancio della Deutsche Bank assomiglia ormai più a quello di un hedge fund, l’attività di prestito è del tutto minoritaria. Una riqualificazione degli attivi, dunque, per aumentare la solidità delle banche, non può certo essere fatta a senso unico. E non si può ripetere l’errore commesso con i criteri di valutazione degli stress test.
[**Video_box_2**]Sui requisiti di capitale e sulla velocità di transizione non c’è accordo nella Bce. La Banca d’Italia invita a guardare all’effetto macroeconomico e non solo a quello micro. Ricapitalizzazione a marce forzate, revisione drastica e unilaterale dei bilanci, più vincoli regolatori, sono tre ingredienti di una medicina micidiale, trangugiati tutti insieme possono stroncare il paziente, soprattutto se ancora indebolito dalla malattia. Il punto oscuro dell’attuale ripresa riguarda gli investimenti privati i quali non ripartono anche perché il credito resta bloccato, basti guardare a quel che accade nell’edilizia. Il cavallo non beve, se nemmeno il Qe riesce a dissetarlo, allora sono davvero guai. E ogni provvedimento che stringe ancora il credito, può innescare una nuova crisi finanziaria.