Sos bancario
Dal 2008 in avanti il settore bancario globale ed europeo è stato oggetto di una incessante produzione e sedimentazione di nuove norme che avevano l’obiettivo di superare i forti limiti e carenze della regolamentazione preesistente – spesso ispirata a princìpi di “de-regulation” e “self-regulation” – recuperare o promuovere stabilità finanziaria, contenere gli effetti negativi sull’economia reale e sui contribuenti di possibili crisi sistemiche, tutelare i depositanti, garantire a clienti e consumatori l’accesso ai servizi bancari a condizioni calmierate. (…) Nel complesso oggi abbiamo un quadro regolamentare e di supervisione molto più avanzato di quando siamo partiti. In Europa i parlamenti, governi, commissioni, regolatori e supervisori nel loro complesso hanno svolto un lavoro di enorme intensità e grande qualità. Ora è molto utile interrogarsi sullo stato di avanzamento dell’opera, su cosa resta da fare, su cosa è testato e funzionante e sui rischi residui per i vari stakeholder e per l’economia europea.
L’osservazione generale è che il pendolo della regolamentazione ha dovuto oscillare fortemente in risposta a una crisi violenta. In conseguenza di ciò, diverse misure sono state spesso ispirate da una precisa esigenza per volta o da uno specifico stakeholder per volta, sacrificando magari altri interessi legittimi e talvolta mancando di adottare una visione completa dell’attività di intermediazione bancaria. In teoria ci si potrebbe ora attendere un consolidamento delle norme, una sorta di Testo unico bancario europeo. In realtà, ciò che si vede è una crescente rotta di collisione specialmente tra le misure volte a promuovere crescita e quelle ispirate a rafforzare ulteriormente la stabilità finanziaria; occorrerà evidentemente fare delle scelte e darsi qualche priorità.
Per fornire un deciso e positivo stimolo alla crescita, l’armamentario messo in campo è stato robustissimo: Ltro, Tltro, Quantitative easing, piano Juncker sugli investimenti, per pensare al solo fronte europeo. Dall’altro lato anche le misure recenti volte a promuovere stabilità in Europa sono state massicce: Unione bancaria, Crd4, Asset quality review, Stress test (su una situazione già estrema), Crr, eccetera. Nel complesso il livello di capitale di rischio di cui si sono dotate le banche europee è ad oggi più che raddoppiato rispetto al 2008. (…)
Il punto è che oggi si sta lavorando molto seriamente su più tavoli a una nuova poderosa ondata di misure per rafforzare la stabilità e accrescere i requisiti patrimoniali del settore bancario. Malgrado ci si muova già nel quadro di un naturale massiccio irrobustimento della stabilità finanziaria grazie agli effetti operativi della progressiva entrata in funzione dei nuovi supervisori, di Ssm/Bce innanzitutto e a brevissimo anche del nuovo Single resolution board, si fa strada una ampia e concreta progettualità regolamentare imperniata su nuovi e vecchi acronimi: Tlac, discussione europea delle Dta, misure prudenziali del c.d. Srep, trattamento della ponderazione dei titoli sovrani, rimessa in discussione dei modelli di Rwa, giusto per citare i principali. Quale l’effetto di questa nuova ondata di regole miranti nei fatti a chiedere più capitale? L’effetto principale è una sorta di paresi per diverse attività creditizie: per le banche il parametro chiave su cui pianificare la propria attività stanno giocoforza diventando gli attivi ponderati, per cui da una parte si vuole anzitutto assecondare l’orientamento alla crescita, ma dall’altra parte c’è un diktat – nemmeno tanto implicito – dalla regolamentazione di economizzare gli attivi che assorbono capitale e privilegiare la salvaguardia dei coefficienti patrimoniali. (…) E quindi le banche vivono una specie di Scilla e Cariddi finanziaria. Avanti tutta dunque sulle attività a basso rischio ponderato, forzosa lentezza su quelle in cui la regolamentazione in arrivo potrebbe aumentare ancora i requisiti di capitale, che però spesso sono proprio quelle che servirebbero a fare ripartire l’economia.
[**Video_box_2**]Come tutti sanno tra queste la più rilevante è il credito alle Pmi che è anche il principale motore europeo per la creazione di posti di lavoro e che strutturalmente non può trovare grande sostegno alternativo sul mercato dei capitali. Un mancato recupero dell’offerta di credito sarebbe particolarmente penalizzante per l’economia italiana, notoriamente incentrata sull’intermediazione bancaria e caratterizzata da un sistema produttivo frammentato. (…) In Italia in cui le banche hanno superato la crisi praticamente senza alcun aiuto pubblico a differenza di quelle di Regno Unito, Germania o Spagna si sente francamente la necessità più di riforme miranti a facilitare la risoluzione dei 350 miliardi di crediti dubbi, piuttosto che di addizionali requisiti di capitale. (…) L’interrogativo dunque diventa: vogliamo rafforzare ulteriormente la stabilità finanziaria rimandando ancora le chance di recupero della crescita, o abbiamo fatto moltissimo per la stabilità finanziaria ed è invece il momento di non mettere a repentaglio l’obiettivo della crescita con una nuova ondata di misure che si aggiungono alle tante già introdotte? Decisione squisitamente politica prima ancora che regolamentare.
Roberto Nicastro è Direttore generale Unicredit
Quelli pubblicati sono stralci da un saggio che esce oggi su Formiche
rivista mensile fondata da Paolo Messa