Mattatore Draghi
Roma. Nell’impasse dei negoziati tra le autorità greche, la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale (Fmi) ad a giocare un ruolo da protagonista è la Banca centrale europea di Mario Draghi. La resistenza del governo di Alexis Tsipras a superare alcune “linee rosse” oggetto delle trattative (taglio delle pensioni, aumento della tassa sui consumi) e insieme la retromarcia sui risparmi acquisiti (riassumere per legge migliaia di dipendenti pubblici licenziati) potrebbero condurre a un nulla di fatto l’Eurogruppo dell’11 maggio. Tuttavia ieri il clima sembrava più disteso perché Atene ha rimborsato 200 milioni di euro di interessi sui prestiti ricevuti dal Fmi vendendo titoli del Tesoro.
A lanciare l’àncora di salvezza è stato però il consiglio direttivo della Bce che, secondo indiscrezioni – il comunicato ufficiale giunge quando questo giornale va in stampa –, avrebbe aumentato di due miliardi di euro la linea di finanziamento di emergenza alle banche elleniche a 78,9 miliardi di euro, l’Emergency liquidity assistance (Ela). La Bce ha alzato di poco il tetto del massimale dei finanziamenti concessi mantenendo quindi pressione su Atene affinché s’accordi con i creditori. La Bce è l’unica agenzia europea in grado di fornire liquidità in modo discrezionale e in quantità potenzialmente illimitata alle banche di paesi sotto stress. Funzione assistenziale sul filo del finanziamento diretto agli stati – le banche elleniche infatti sono diffidate dal comprare titoli pubblici – che dà a Draghi la possibilità di puntellare il sistema creditizio greco, altrimenti imploso, di evitare una fuga di capitali e, insieme, di esercitare una sorta di minaccia peraltro familiare a Tsipras.
Quando Syriza salì al potere a febbraio adombrando la possibilità di non sottostare più ai vincoli dei creditori europei – poi sfidati apertamente – la Bce minacciò di chiudere i rubinetti alle banche. E’ un potere sanzionatorio più forte rispetto alle lente procedure d’infrazione della Commissione Ue perché ha effetto immediato. In più l’assicurazione di una linea di credito “vitale” coincide con la facoltà di indicare delle politiche economiche valide per un paese ma d’esempio per l’intera Eurozona. Il ruolo di “standard setter” va al di là dell’interpretazione rigida dei trattati ed è solo parzialmente istituzionalizzato. I funzionari Bce fanno appunto parte della Troika e, insieme a Fmi e Commissione Ue, monitorano l’adesione alle condizionalità dei paesi sotto programma. In parte l’esercizio si svloge invece mediante moral suasion in occasioni pubbliche, quando Mario Draghi dice “abbassare le tasse” o “eliminare la rigidità del mercato del lavoro”, o in via riservata (l’incontro con il premier italiano, Matteo Renzi, a Città della Pieve l’estate scorsa).
[**Video_box_2**]E’ un ruolo politico, di pungolatore e di guardiano attento ai passi svelti delle riforme – temuto per questo anche da Renzi –, che Draghi non avoca a sé con leggerezza e che deriva dall’essere il capo dell’unica istituzione europea cui i mercati danno piena credibilità in un contesto di inazione dei governanti. Condizione che costringe la Bce a caricarsi di pesi ulteriori per rispettare, in ultima istanza, il mandato di salvaguardare la stabilità monetaria e l’integrità dell’euro. S’era visto nell’estate 2012 quando ad ammansire i mercati non bastarono i governi tecnici ma servì il famoso “whatever it takes” per contenere il contagio. Una linea rossa, quella del contagio finanziario, che sembrava cancellata con il Quantitative easing ma che il timore di un’uscita della Grecia dall’euro fa riaffiorare sulla bocca degli operatori di Borsa.