Il Qualunquismo contabile e la fotografia di un paese per soli vecchi
Il Qualunquismo Contabile (da qui in poi, QC) è una nuova malattia che ha colpito l’Italia, ma la diffusione del virus nella classe dirigente ha una velocità esponenziale. Pochissimi ne sono immuni fin dalla nascita e il vaccino non è stato ancora scoperto. Gli effetti sono devastanti. E si vedono dopo la decisione della Corte Costituzionale che ha bocciato il blocco delle indicizzazioni per le pensioni superiori a 3 volte il minimo. La sentenza coincide con la massima espansione del QC, una fase acuta che su vasta scala può condurre al collasso del sistema cardiocircolatorio dei Conti dello Stato. Non solo, il QC pare avere effetti distorsivi sugli organi recettori e la conseguente percezione della realtà.
Tranquilli, non è un trattato di medicina, ma lo scenario di propagazione del QC, il Qualunquismo contabile. Ordinando l’abbattimento della norma che frenava la corsa delle pensioni superiori a 3 volte il minimo, la Consulta ha favorito le classi di età e reddito che sono state meno penalizzate dalla crisi, anzi hanno accresciuto la loro capacità di reddito. Non ci credete? Osservate questo grafico tratto dall’indagine di Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane.
Non occorre una laurea a Harvard per capire che cosa è successo negli ultimi vent’anni: l’Italia non è un paese per giovani. Dal 1995 la fascia di italiani in un’età compresa tra i 19 e 34 anni è sempre più povera, così come quella tra i 35 e 44 anni. Queste due classi hanno un reddito largamente inferiore alla media nazionale (uguale a 100), il calo è costante e finora irreversibile. Unito alla concentrazione di ricchezza, restituisce un quadro a tinte fosche per cerca un “nuovo inizio” in Italia.
Sono gli effetti del Qualunquismo contabile, ecco la fotografia della situazione scattata da Bankitalia:
Nell’arco del passato ventennio il reddito equivalente degli individui anziani è passato, in termini relativi, dal 95 al 114 per cento della media generale. Anche la posizione relativa delle persone fra 55 e 64 anni è migliorata (+18 punti percentuali). Per le classi di età più giovani, invece, il reddito equivalente è diventato significativamente più basso della media: il calo è stato di circa 15 punti percentuali per la classe di età fra 19 e 35 anni e di circa 12 punti percentuali per quella tra 35 e 44 anni.
Nessun giovane può pensare – in queste condizioni – di metter su famiglia, progettare un domani fuori dalla precarietà. Con quest’ultima parola non mi riferisco ai contratti, alla liturgia parolaia di sindacalisti e altermondisti vari, no, mi riferisco al mondo reale in cui gli italiani che vorrebbero costruire la nazione del domani, sono schiacciati su un presente senza prospettiva che non è figlio del formalismo dei giuslavoristi, ma è il prodotto di scelte profondamente sbagliate sul fronte della spesa (pensionistica e non) e degli investimenti.
La decisione della Consulta apre un magic box pieno di mostri che ridono come Jocker. Non è la prima volta che lo scrivo: siamo giunti al paradosso che i lavoratori dipendenti guadagnano meno dei pensionati. E’ ancora dall’indagine di Bankitalia che possiamo vedere questa dinamica perversa. Osservate questo grafico:
E’ una storia ben diversa da quella che passa il convento distorto del mainstream ed è finalmente tutto molto chiaro: dal 2006 al 2012 il reddito da pensioni aumenta, quello degli autonomi cala e quello dei dipendenti resta invariato e superato da quello dei pensionati. Surreale.
La Corte Costituzionale interviene su una materia che divide in due gli italiani: non i ricchi e i poveri, ma i giovani e i vecchi. I giovani poveri e al freddo, i vecchi benestanti e al caldo. Posizioni di rendita consolidate si cementano, mentre le energie nuove vengono spente sul nascere o nella fase della vita in cui possono creare e dare il meglio. La sentenza è costruita in punta di diritto, naturalmente, ma è nitroglicerina politica e, spiace doverlo scrivere, le reazioni del governo e del Parlamento fanno cascare le braccia. Oscillano tra la timidezza e il populismo. Il governo e la maggioranza avrebbero dovuto dare subito un segnale chiaro, un #cambioverso, un’impostazione di serietà e responsabilità. Siamo alla logica del rimborso a rate e per scaglioni. Ma c’è un sottotesto politico da far emergere, ben più serio e urgente. Agli italiani va fatto un discorso chiaro, sincero, senza imbellettamenti. Non era questo uno dei leit motiv delle Leopolde renziane? E l’opposizione? Fa della sentenza un uso propagandistico sperando di capitalizzarne il dividendo politico. Bella roba. E sia chiaro, rispettarla non significa sospendere critiche e osservazioni anche alla Corte quando percorre il sentiero dei parlamenti e dei governi, diventa “macchina politica” e scrive in una sentenza di “esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”.
[**Video_box_2**]Siamo ad Alice nel paese delle meraviglie. Perché io ricordo un’estate torrida con il tam tam sinistro sull’arrivo della trojka, ricordo una lettera del presidente della Bce datata 5 agosto 2011 che chiedeva al governo italiano “con urgenza” di “rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali”, ricordo un mio colloquio con un altissimo dirigente del Tesoro che mi confidò: “Abbiamo finito i soldi, se continua così non paghiamo gli stipendi”. Sono gli appunti di un giornalista, non una sentenza di cui mi piacerebbe conoscere la genesi. Sarebbe utile, per il cronista e per il cittadino sapere come è maturata la decisione della Consulta, chi ha espresso dissent opinion e con quali argomenti. Pubblicare le minute del dibattito sarebbe opera meritoria, strumento utile di orientamento per un 47enne padre di due bambini che desidera alimentare un sano dibattito nel Paese sul futuro del Paese. Ma capisco, sono tempi di Qualunquismo Contabile, non c’è la cura e dunque chiedo troppo.