Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi (foto LaPresse)

C'è un'avanguardia in Confindustria (quando si parla di Iran e Russia)

Alberto Brambilla
Il doppio registro delle aziende italiane tra riforme e sanzioni

Roma. La Confindustria è spesso descritta come un’associazione pachidermica. Sta cambiando passo. L’indirizzo politico lo deciderà un organo anziché due, il Consiglio, una riforma della governance lungamente attesa. Inoltre con una presa di sicurezza, il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, ha invocato una modernizzazione delle relazioni industriali che privilegi i contratti aziendali legando i salari alla produttività. Un po’ in ritardo, forse, rispetto alla prassi inaugurata dalla Fiat nel 2011, in rottura con le liturgie confindustriali. Le imprese si muovono invece con un solerte attivismo a presidio dei loro interessi in paesi sotto sanzioni internazionali. L’avvio del processo di smantellamento delle sanzioni all’Iran, condizionate alla limitazione del programma nucleare del regime ierocràtico, alimenta speranze. L’Italia ambisce a tornare il primo partner commerciale europeo dell’Iran, superando la Germania, e quindi recuperare in massima parte il tracollo dell’interscambio commerciale dall’imposizione delle sanzioni nel 2010, per 5,2 miliardi di dollari. Il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ex presidente dei giovani confindustriali, ha incontrato il ministro del’Industria e delle miniere iraniano, Mohammad Reza Nematzadeh all’Expo di Milano questa settimana.

 

L’Italia viene percepita come il paese che più di tutti si sta ponendo il problema di come affrontare il “dopo sanzioni” – posta l’indiscussa efficacia nell’engagement di Teheran – e comincia a fare il suo gioco visto che paesi come Cina e India hanno aggredito settori commerciali di competenza. Aziende dell’impiantistica e della grande industria si muovono a Teheran per capire come tornare a presidiare delle posizioni ereditate ma difficili da difendere a causa dell’impossibilità di ottenere credito in loco, per il divieto imposto agli intermediari finanziari occidentali a operare nel paese. L’assenza di canali bancari attivi è l’impedimento maggiore. Due banche iraniane, Sepah e Saman, hanno chiesto l’autorizzazione alla Banca d’Italia per aprire un ufficio di rappresentanza, dice una fonte governativa. Il mercato iraniano potrebbe costituire un nuovo sbocco per i prodotti italiani che oggi sono penalizzati su quello russo, anch’esso oggetto di sanzioni internazionali dopo la violazione del cessate il fuoco in Ucraina da parte della Russia. Lo dice il “Rapporto su sanzioni e restrizioni internazionali” della Fondazione Farefuturo, presieduta dall’ex ministro dello Sviluppo economico con delega al commercio estero Adolfo Urso, con il Center for near abroad strategic studies, think tank presieduto dall’ex ambasciatore Mario Maiolini, con il patrocinio della Confindustria e del ministero degli Affari esteri. “Le sanzioni imposte alla Russia sono state fin troppo efficaci dal punto di vista economico, meno su quello politico: le conseguenze sono state distorsive e imprevedibili”, dice il rapporto che parla di “effetto boomerang” per gli stati che le hanno imposte. Da qui la proposta di Farefuturo di istituire una task force intergovernativa assieme alle associazioni industriali e bancarie per “indirizzare” le imprese a operare, nel pieno rispetto delle sanzioni, per coglierle opportunità nei mercati d’interesse. Mosca ha risposto all’Europa con l’embargo all’importazione dei prodotti dell’agroalimentare e del tessile (potrebbe costare fino a 2,4 miliardi di esportazioni in meno, secondo calcoli ufficiosi dell’Espresso).

 

[**Video_box_2**]Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare e amministratore delegato di Inalca (carni bovine, gruppo Cremonini), attivo in Russia, a gennaio ha incalzato il governo a “gestire il problema, con negoziati bilaterali” superando “l’ostruzionismo europeo”. Il governo italiano sta facendo un esercizio di equilibrismo tra la posizione europeista e atlantista, favorevole al mantenimento delle sanzioni, in vigore da un anno, e la necessità di mantenere aperto un canale diplomatico con Mosca. La preoccupazione degli imprenditori, come emerso alla tavola rotonda di Farefuturo, è che la possibilità di fare affari con Mosca, oltre a essere ridotta per effetto diretto delle sanzioni, venga frustrata ulteriormente dalla recessione russa con la conseguenza di non recuperare facilmente le quote di mercato sottratte da quei diretti concorrenti che non essendo soggetti a sanzioni possono beneficiare di finanziamenti facili.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.