Giudici di governo
Roma. I retroscena dell’èra Renzi sono solitamente pieni di “non ci fermeranno” o altre baldanzose confidenze consegnate “ai collaboratori di Palazzo Chigi”. Martedì invece il presidente del Consiglio, parlando a Repubblica Tv, ha usato – forse per la prima volta in pubblico – tutt’altro tono: “Mi sono dovuto rimangiare il tesoretto”, ha ammesso. Chi lo ha costretto fino a questo punto è stata la Consulta che, lo scorso 30 aprile, ha giudicato incostituzionale la norma del decreto Salva Italia che alla fine del 2011 bloccò, per i due anni successivi, la rivalutazione delle pensioni, escludendo soltanto i trattamenti fino a tre volte la pensione minima di circa 500 euro mensili. Una decisione che, se attuata in toto, costerebbe allo stato almeno 10-13 miliardi di euro di rimborsi ai pensionati, generando non poche incognite contabili per il governo. Rimangiato il tesoretto, cioè gli 1,6 miliardi di spazio fiscale in più di cui Renzi aveva annunciato di disporre, ora a Via XX Settembre ci si preoccupa di non sforare i limiti europei sul deficit. “La sentenza non dice che bisogna pagare domani tutto e tutti”, ha detto Renzi martedì prima di incontrare il ministro Padoan che sta studiando una forma di restituzione graduale (non varrà per gli assegni pensionistici più generosi) da attuare “entro pochi giorni”.
L’esecutivo dunque rincorre per trovare un rimedio. “Ma la sentenza in sé è grave”, dice al Foglio lo storico dell’economia Giulio Sapelli, insospettabile di renzismo. Che inquadra questa sentenza in una situazione più generale, quella di “un occidente capitalistico in cui da anni si assiste a un progressivo straripamento dei poteri della magistratura. In Italia, poi, con picchi patologici”. Sapelli suggerisce di aggiornare le tesi del politologo americano Samuel Huntington che nei paesi emergenti attraversati da crisi individuava gli eserciti come “unica vertebra” dello stato: “Oggi, a fronte della devertebrazione dello stato occidentale, a emergere è il potere giudiziario, perfino negli Stati Uniti”. Per Sapelli i giudici costituzionali italiani disfano oggi la politica pensionistica del governo, ma già martedì si erano comportati in modo simile sulla legge elettorale, “materia di competenza parlamentare per eccezione”. In tutto il mondo, da una parte s’assiste al rafforzamento dei giudici anche nel tentativo di contrastare la corruzione, dall’altra s’indeboliscono gli altri poteri: “Crisi fiscale dello stato, svilimento dei parlamenti, delegittimazione dei partiti politici. Processi cui in Italia dobbiamo aggiungere il diciannovismo della stampa d’establishment che soffia sull’anti politica e il fatto che Renzi, avendo rifiutato di passare per le urne prima di arrivare al potere, oggi dipende più da poteri stranieri che da poteri italiani”, conclude Sapelli.
Se il Parlamento avesse eletto i suoi giudici
[**Video_box_2**]Stefano Ceccanti, costituzionalista e già senatore del Pd, parla di “scaricabarile” da parte della Consulta, di “assist involontariamente fornito a tutti i demagoghi di turno” sulle pensioni. “La Corte costituzionale avrebbe potuto raggiungere lo stesso risultato di oggi, cioè spingere il Parlamento a rivedere il blocco della perequazione sulle pensioni più basse, senza gli attuali effetti collaterali, quindi senza far credere a tutti i pensionati italiani di poter ottenere il rimborso – dice Ceccanti – Sarebbe stata sufficiente una sentenza additiva di principio, dichiarando il blocco incostituzionale e spingendo il Parlamento a legiferare altrimenti”. Con una sentenza che è immediatamente esecutiva per tutti, invece, la Consulta non ha reso “agevole” il dialogo con il Parlamento. Ceccanti compie due ulteriori considerazioni: “La Consulta sarebbe tenuta a porsi pure il problema delle coperture finanziarie delle proprie decisioni. Perché in materia previdenziale non ci sono i ‘diritti’ da una parte, e generiche ‘esigenze di bilancio’ dall’altra. Le esigenze di bilancio garantiscono i diritti di altre persone, come quelli delle giovani generazioni” di vedersi garantita pure loro una pensione decente o di non dover contribuire oltremodo a quelle odierne. Se la Consulta pare aver dato poco peso a queste tesi, ragiona l'ex senatore del Pd, è perché “ha prevalso un’interpretazione di diritto puro, in stile fiat iustitia et pereat mundus, figlia di una formazione giuridica un po’ semplicistica. Non sarà un caso se dei sei voti a favore della sentenza sembra che ben cinque siano in blocco dei cinque giudici eletti dalla magistratura – conclude Ceccanti – Se il Parlamento avesse nominato a oggi tutti i giudici di sua competenza, forse gli equilibri del voto sarebbero stati diversi”. Riecco la debolezza della politica.