Perché l'idea grillina del reddito di cittadinanza, numeri alla mano, è irrealizzabile
Negli ultimi mesi si è parlato molto di “reddito di cittadinanza”, in particolar modo dopo la marcia Perugia-Assisi con cui il Movimento 5 stelle ha chiesto al Parlamento di approvare la propria proposta di legge. Molte forze politiche, da Sel a Pippo Civati passando per la minoranza del Pd, si sono dette disponibili a discutere con il M5s di un provvedimento che dia un sussidio a chi vive sotto la soglia di povertà, ma c’è molta confusione su quale tipo di strumento utilizzare, quanto costa e chi devono essere i beneficiari. Il “reddito di cittadinanza” proposto dai grillini prevede di garantire un sussidio a chi è disoccupato, inoccupato, pensionato o a basso reddito fino al raggiungimento della soglia di 780 euro al mese. In pratica chi è a reddito zero riceve 780euro al mese, mentre chi ha un reddito basso avrà un’integrazione che gli permetterà di raggiungere la soglia di 780euro. In realtà quello proposto dal Movimento 5 stelle non è un vero e proprio “reddito di cittadinanza”, ovvero un sussidio universale individuale, perché se così fosse il costo di una tale operazione sarebbe pari a circa 90 miliardi di euro. Quello proposto dai grillini invece è un “reddito minimo garantito” (così infatti lo chiama Sel), ovvero un sussidio condizionato ad alcuni obblighi come non rifiutare più di 3 offerte di lavoro trovate dai centri per l’impiego, frequentare corsi di formazione e fare lavori socialmente utili per otto ore settimanali. Il sussidio inoltre non è individuale, ma basato sul nucleo familiare: non vengono dati sussidi fino a 780euro a ognuno, ma vengono ridotti se più aventi diritto fanno parte dello stesso nucleo familiare. In questo modo il costo complessivo stimato dai grillini scende a 17miliardi annui, una somma molto più bassa, destinata a una platea di circa 10milioni di persone (circa 3 milioni di nuclei familiari).
Si tratta comunque di una cifra consistente, basti pensare che il governo è nell’impossibilità di trovare una somma simile per coprire il buco causato dalla bocciatura del blocco dell’indicizzazione delle pensioni decisa dalla Corte Costituzionale, con l’aggravante che gran parte del rimborso delle pensioni è una tantum, mentre i 17 miliardi stimati dal M5s per il “reddito di cittadinanza” devono essere strutturali, cioè vanno trovati ogni anno.
E la sostenibilità finanziaria, non proprio un dettaglio, è il punto debole della proposta grillina. Innanzitutto perché non c’è una certezza sul reale costo del provvedimento, visto che in una proposta simile di meno di due anni fa in cui i grillini proponevano un “reddito di cittadinanza” da 600 euro mensili (cioè di meno di quello attuale) il costo totale previsto era di 19 miliardi di euro (cioè di più di quello attuale, che però dà più soldi). Ma oltre all’incertezza sul costo complessivo, ciò che appare debole nella proposta sono le coperture. Il Movimento 5 stelle prevede di recuperare i 17 miliardi annui attraverso 600 milioni di tasse sul gioco d’azzardo, 1,2 miliardi di nuove tasse sulle imprese petrolifere, 1,1 miliardi di riduzione dei costi della politica, 4,5 miliardi di risparmi dall’acquisto di beni e servizi dell’amministraizone pubblica, una patrimoniale da 4 miliardi, 740 milioni dal taglio delle pensioni d’oro, 3,5 miliardi dal taglio delle spese militari, 600 milioni dall’8 per mille e altri 600 milioni da banche e assicurazioni. Ma molte di queste coperture semplicemente non esistono. Ad esempio il miliardo in più che si intende prelevare dalle industrie petrolifere non è altro che l’incremento dell’aliquota della Robin tax, che però è stata da poco dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Allo stesso modo la Corte si è espressa contro “contributi di solidarietà” sulle pensioni. È molto improbabile riuscire a tagliare di 3,5 miliardi le spese militari, una cifra che corrisponde a circa il 20 per cento del budget del ministero della Difesa, perché vorrebbe dire tagliare tutti gli investimenti per sempre e intaccare anche le spese del personale e di esercizio (ovvero le spese di funzionamento). In pratica in poco tempo resterebbe solo il personale, tra cui i carabinieri che si occupano della sicurezza del territorio, ma con infrastrutture vecchie, mezzi obsoleti e senza benzina. Così come sembra difficile ottenere 4 miliardi da un’altra patrimoniale (pari a un quinto del gettito dell’Imu) senza mettere in ginocchio definitivamente il settore immobiliare. Restano i tagli agli sprechi e al costo della politica, invocati da tutti ma poi sempre difficili da individuare, un taglio di benefici fiscali da 600 milioni alle banche e alla Chiesa e altri 600 milioni dalle tasse sul gioco d’azzardo. Poca roba.
[**Video_box_2**]Ma l’ulteriore problema del “reddito di cittadinanza” grillino, coperture a parte, è che per la sua generosità (in media nei paesi europei è di circa 400 euro) e per come è impostato, rischia di essere nient’altro che una nuova misura assistenzialista. Con un sussidio così elevato a molti converrà restare sul divano piuttosto che accettare tutta una serie di lavori anche part time che offrono meno di 780euro. Se lavorando guadagno sempre 780 euro mi conviene stare a casa. E anche per lavori da qualche centinaio di euro in più a molti converrà accontentarsi del sussidio. Il problema è evidente soprattutto per chi ricade tra i beneficiari del sussidio ma non è a reddito zero: chi guadagna 400 euro ottiene 380 euro di integrazione, ma se ne guadagna 500 ne riceverà 280: “In un qualsiasi sistema di sussidi – dice Riccardo Puglisi, docente di Scienza delle finanze all’Università di Pavia – bisogna valutare quanto il sussidio diminuisce al crescere del reddito, in questo caso se a un guadagno di 100 euro in più corrisponde una riduzione del sussidio di 100 euro vuol dire che l’aliquota marginale è del 100 per cento, l’effetto dell’incentivo è il peggiore possibile”. Si tratta in pratica di una tassa sul lavoro e un incentivo all’ozio: “Se un’ora di lavoro in più rende zero – dice Puglisi – è evidente che le persone sono indotte a godersi il tempo libero. Questo rischia di creare una classe di persone che vive di sussidi e rimane intrappolata nella povertà, qualcosa di simile a ciò che è accaduto nell’Inghilterra pre-Thatcher”. Ciò non vuol dire che non ci sia bisogno di ridisegnare il nostro sistema di welfare in una maniera universale, una soluzione che va in questa direzione è l’aliquota negativa sul reddito proposta a suo tempo da Milton Friedman, che garantiva fino a una certa soglia un sussidio per ogni euro guadagnato in più, in modo da premiare chi lavora e guadagna di più: “È sensato che ci sia un reddito minimo universale, ma deve essere a un livello tale e con un meccanismo tale da mantenere gli incentivi a lavorare. Se l’imposta negativa proposta da Friedman non ha un’aliquota marginale del 100% è perché Milton Friedman non era proprio uno sprovveduto”.