Un debito italiano da record aizza le contraddizioni nella Bce
Il debito pubblico italiano, a marzo, ha segnato il record storico in valore assoluto a 2.184,5 miliardi di euro, superiore di oltre 15 miliardi al livello di febbraio, dice la Banca d’Italia. Il primo trimestre non è mai favorevole. E’ molto probabile che, grazie alle entrate derivanti dai conguagli con le dichiarazioni dei redditi di metà anno, il rapporto debito/pil migliorerà. Comunque un aumento del debito, entro fine anno, ci sarà e sarà di almeno 2,5 punti, ovvero pari al deficit di bilancio previsto. Qui si presenta un paradosso per cui il debito cresce nonostante ci siano condizioni favorevoli affinché ciò avvenga in maniera non dannosa. Infatti le emissioni di debito italiano a medio e lungo termine sono attualmente collocate sul mercato a tassi molto bassi, abbiamo un considerevole avanzo primario e non solo il nostro disavanzo resta inferiore al tetto del 3 per cento ma, dal punto di vista del bilancio strutturale, s’avvierà al pareggio entro due anni. Da qui un altro, più grande, paradosso. Infatti se il tasso d’inflazione fosse attorno al 2 per cento – l’obiettivo fissato della Banca centrale europea – il rapporto debito/pil già oggi scenderebbe.
E’ infatti la deflazione che sta generando la patologica crescita del nostro debito in una situazione di consolidamento del bilancio positiva che però ha effetti monetari negativi. A questo punto consideriamo l’azione della Bce rivolta a combattere la deflazione mediante il Quantitative easing (Qe). Azione che ha fatto parlare il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, di una “bolla speculativa” sulle quotazioni di Borsa in Italia. Una “bolla” anomala però rispetto alla definizione comune. Il rialzo del valore dei titoli azionari e del reddito fisso che si manifesta in questo periodo di deflazione è ben diverso da quello che si genera in un periodo di inflazione. Infatti non assistiamo all’acquisto precauzionale di derrate e di beni durevoli d’investimento reali come quando ci sono bolle speculative inflazionistiche. E soprattutto, purtroppo, non abbiamo una rilevante espansione degli investimenti. Questa espansione dovrebbe derivare, in linea teorica, dagli effetti della riduzione dei tassi d’interesse ma, in pratica, questo naturale meccanismo è frustrato dal peso assegnato ai titoli di stato tenuti a bilancio dalle banche. Ciò perché i parametri stabiliti dalla European banking authority (Eba) per gli istituti di credito con gli stress test comportano di considerare come rischioso il debito pubblico dei paesi con un rapporto debito/pil vicino o superiore al cento per cento. Posizione difesa dalla Germania e per certi versi condivisibile, che però rivela una contraddizione macroscopica nell’archittettura della moneta unica. Proprio mercoledì il presidente del Consiglio di supervisione bancaria della Bce, Daniele Nouy, ha dichiarato che le banche greche sono solide perché hanno investito la liquidità d’emergenza fornita in questi mesi dalla Bce nei titoli del debito dei paesi dell’Eurozona. Constatazione che ha fatto inalberare Jens Weidmann, capo della Bundesbank, perché ciò – dice lui – ha consentito alle banche greche di finanziare anche il loro governo; ergo la Bce ha violato il proprio statuto. La contraddizione è lampante tra la postura del custode della politica monetaria, la Bce, e quella del custode morale della politica fiscale, la Bundesbank.
[**Video_box_2**] Ma ognuno deve seguire il suo mandato. Tuttavia è innegabile – e lo dice Nouy – che con il Qe il rischio connesso al debito si riduce. Purtroppo l’Eba ha condotto gli stress test senza considerare il nuovo strumento monetario, inaugurato successivamente. Se si tenesse conto di ciò, le banche avrebbero meno costrizioni, gli investimenti aumenterebbero, e il tasso d’inflazione potrebbe arrivare vicino al 2 per cento in breve tempo. Di conseguenza avremmo una maggiore crescita monetaria e pure reale del pil e l’azione di consolidamento di bilancio avrebbe molto più successo, con la prospettiva di ridurre il debito pubblico.