Politiche dell'irresponsabilità
In principio fu il “governo del cambiamento”, la formula politica che ha tenuto sospeso un paese in piena crisi politica, economica e istituzionale. Nel governo Pd-M5s ci credeva il club degli “intellettuali” che con un appello di Remo Bodei, Roberta De Monticelli, Salvatore Settis e Barbara Spinelli chiedeva a Grillo “se non ora, quando?”. Ci credeva la “società civile” che – con un altro appello di Roberto Benigni, Oscar Farinetti, don Gallo, Jovanotti, Roberto Saviano e i già-intellettuali Settis&Spinelli – aveva tolto il punto interrogativo e messo l’esclamativo: “Facciamolo!”. Ci aveva creduto la piazza che scandiva “Ro-do-tà!”. Quel filo che per mesi ha tenuto appese le istituzioni è poi stato spezzato nell’umiliante diretta streaming in cui Enrico Letta e Pier Luigi Bersani avevano affidato ai grillini Vito Crimi e Roberta Lombardi il ruolo di parche della Repubblica. Seppellita la bandiera del “governo del cambiamento”, quel che resta di quel mondo di sinistra che ha dovuto accettare suo malgrado la grande coalizione e il patto del Nazareno con Berlusconi si è riunito ora sotto al vessillo del “reddito di cittadinanza” issato da Beppe Grillo per creare un fronte popolare che argini la “deriva autoritaria” renziana. Auspica una convergenza con il M5s il fuoriuscito Pippo Civati, è pronto a collaborare Nichi Vendola, vuole discuterne la minoranza Pd con Roberto Speranza e Stefano Fassina, deve essere “la” battaglia della sinistra per Barbara Spinelli.
Il problema del “reddito di cittadinanza” a 5 stelle è che non sta in piedi. I grillini propongono di dare un sussidio a disoccupati, inoccupati e occupati a basso reddito per non far vivere nessuno con meno di 780 euro al mese. I beneficiari sono circa 10 milioni di persone, lo stesso numero di persone che hanno ricevuto il bonus del governo Renzi, ma se l’operazione “80euro” costa 10 miliardi l’anno, i 780 euro di Grillo dovrebbero costare solo 17 miliardi. I conti non tornano. E tornano ancora meno se si dà un’occhiata alle coperture: c’è l’aumento della Robin tax che però è stata dichiarata incostituzionale, il taglio delle “pensioni d’oro” anch’esso bocciato dalla Consulta, il taglio di 3,5miliardi di spese militari che vorrebbe dire azzerare gli investimenti e intaccare le spese di esercizio della Difesa, una patrimoniale e tagli agli sprechi. Poca roba, poco concreta. La proposta grillina ha inoltre un problema di funzionamento: chi ha diritto all’integrazione perde un euro di sussidio per ogni euro che guadagna. In pratica, con un’aliquota marginale del 100 per cento, il sussidio grillino è una tassa sul lavoro e un incentivo all’ozio. Di tutto ciò ne è consapevole anche Fassina, che con i numeri ha una certa dimestichezza. Ora dice che la proposta “va nella direzione giusta”, ma quando era viceministro dell’Economia e aveva responsabilità di governo definiva la proposta di Grillo una “balla demagogica” senza coperture. Più che una seria proposta economica il “reddito di cittadinanza” è una formula politica, la prosecuzione del “governo del cambiamento” con altri termini, che ha sempre l’ambizioso obiettivo di sfondare il muro dei vincoli di realtà. Il rischio è che il muro si dimostri ancora una volta più duro del previsto.