In Venezuela una banconota falsa vale più di tante vere
Roma. Il valore del bolívar venezuelano, la moneta del paese sudamericano, è sceso talmente in basso che ormai falsificarlo non conviene più: conseguenza di un’inflazione che i dati ufficiali davano al 56,2 per cento nel 2013 e al 68,5 per cento nel 2014. Ma con il 2015 l’amministrazione pubblica del paese presiduto dal 2013 da Nicolás Maduro ha smesso di fornire cifre, in spregio alla stessa legge. Dati della Banca centrale del Venezuela (Bcv), che sono filtrati al leader dell’opposizione Henrique Capriles, parlano comunque del 50 per cento nei soli primi quattro mesi dell’anno. Stime indipendenti oscillano addiritura tra il 110 e il 175 per cento su base annuale. Da quando lo Zimbabwe di Robert Mugabe ha semplicemente rinunciato alla propria valuta, si tratta comunque dell’inflazione più alta del mondo.
Tanto più esorbitante se si guardano i dati dei paesi vicini: 2,95 per cento in Colombia, 1,55 in Perù, 2,48 in Ecuador. E nella zona universitaria di Caracas, appunto, una fotocopia a colori sulle due facce viene 50 bolívares: esattamente il valore del secondo taglio di banconota più “pesante” in circolazione. Poiché ovviamente nel caso dei biglietti da 2, 5, 10 e 20 bolívares la banconota falsa verrebbe a costare più di quella vera, l’unico margine di guadagno ci potrebbe essere con il biglietto da 100. E non fatevi ingannare da quei siti online che calcolano istantaneamente il cambio, e che al momento di scrivere queste note danno ai 50 bolívares un valore attorno ai 7 euro. Quello è il cambio ufficiale: 6,3 bolívares per dollaro. Ma, a parte gli stranieri, a quel cambio vi si può accedere solo per l’importazione di beni di prima necessità sulla base di autorizzazioni che sono elargite con varie forme di favoritismo. Alle imprese viene fatto un secondo tipo di cambio, a 12 bolívar per dollaro: il cosiddetto Sicat. E il Simadi, il cambio per i cittadini normali, equivale a 200 bolívares per dollaro. Cioè, il taglio di banconota massimo vale mezzo dollaro. Ma se uno la valuta forte se la vuole procurare sul serio, deve in realtà ricorrere al quarto tipo di cambio, il cosiddetto “blue”, cioè, parallelo: 318 bolívares al dollaro.
E’ in dollari-blue che occorre in pratica fare la spesa, visto che gli scaffali dei negozi sono desolatamente vuoti. Per le continue mazzate del regime bolivariano all’imprenditoria privata, dall’inizio del periodo chavista l’import alimentare è cresciuto dal 30 al 70 per cento del fabbisogno, quello non alimentare va anche peggio, e la principale risposta del regime che fu chavista consiste in una politica di intimidazioni e arresti verso i distributori privati, accusati di far mancare i beni apposta per sabotare il governo. Risultato: la situazione peggiora ulteriormente.
[**Video_box_2**]Il governo ammette che il pil è calato del 3 per cento nel 2014 e calerà dell’1 per cento nel 2015, ma il Fondo monetario internazionale prevede un meno 7,5 per cento nel 2015 e un meno 4.5 nel 2016, e alcune stime private per il 2015 arrivano a meno 7,5. Intanto le riserve di valuta della Bcv si stanno squagliando come neve al sole: erano 40 miliardi nel 2006, adesso sono crollate a 17. A febbraio un default è stato evitato grazie a un prestito di 4,7 miliardi dalla Citgo, la controllata americana della petrolifera statale Pdvsa che si occupa di raffinazione e distribuzione, e che Maduro voleva vendere appunto per fare cassa. Ma adesso per il nuovo semestre ci vogliono altri 10,3 miliardi, e non si sa bene dove trovarli. Dall’inizio dell’anno Maduro è andato in giro vorticosamente a cercare finanziatori, da Pechino a Mosca passando per Teheran, Algeri, Riad e Doha. Ma all’emiro del Qatar ha spiegato quello che è il suo vero piano strategico: “Il nostro interesse è che il petrolio torni sui 100 dollari al barile a medio termine”.