Gli ostacoli che frenano Renzi per la soluzione del caso Ilva
Il meccanismo sulla carta è semplice: l’Ilva in amministrazione straordinaria deve emettere delle obbligazioni remunerate, con un rendimento superiore allo zero, che devono essere sottoscritte da Equitalia Giustizia, il gestore del Fondo unico giustizia (Fug), cioè il veicolo dove vengono accantonati i beni oggetto dei sequestri giudiziari di procedimenti penali pendenti o delle confische di procedimenti conclusi.
Nella pratica, il processo è ben più complesso e dall’esito incerto. La prima emissione sarebbe dovuta avvenire “probabilmente” nella settimana tra il 18-22 maggio, secondo “fonti ben informate” dell’Ansa. Così non è stato. Affinché Equitalia Giustizia possa sottoscrivere le obbligazioni, le sostanze sequestrate ai Riva devono essere presenti nel Fug. Si tratterebbe di titoli finanziari moderni, investiti sul mercato italiano ed estero, depositati in maggiore parte presso la banca svizzera Ubs, da essa amministrati, e di proprietà di trust off shore. Una volta nella disponibilità del Fug, Equitalia Giustizia deve monetizzare il valore dei titoli scambiandoli sul mercato per ricavarne delle plusvalenze o subìre minusvalenze – cosa improbabile ma da non escludere, dipende dalla natura dei titoli. (Perciò è errato parlare di “miliardo e due”: la forchetta oscilla tra 1 e oltre 1,2 miliardi). Il giudice per le indagini preliminari, su istanza dei commissari dell’Ilva, ha recentemente decretato che il sequestro venga trasferito dalle sostanze dei Riva alle obbligazioni: un escamotage per procedere presto all’emissione.
C’è però un grosso “ma”: allo stato dell’arte, le somme dei Riva non sono nel Fug e parlare di rapido trasferimento all’Ilva è azzardato. In assenza delle sostanze sequestrate, le obbligazioni infatti non possono essere né emesse né sottoscritte: dal punto di vista di Equitalia Giustizia, ente pubblico col ruolo di esecutore delle direttive del tribunale, sarebbe come firmare un assegno scoperto. Senza la piena disponibilità delle somme l’architettura finanziaria – per quanto originale e inedita – rischia di rimanere astratta, al pari del salvataggio dell’acciaieria. Ovvero un’elucubrazione giudiziaria costruita su atti endoprocessuali che sinora non si identificano nemmeno in una sentenza di primo grado. Il successo poi dipende da decisioni affermative e convergenti di una pluralità di attori in altre giurisdizioni.
I legali di Adriano Riva, cittadino canadese, hanno opposto duplice ricorso in Cassazione per illegittimità costituzionale, ravvisando la violazione dei diritti di proprietà, di libertà d’impresa e altro a danno dell’indagato. In primis contro la possibilità inserita nel decreto “Terra dei Fuochi” del 2014 di usare le sue finanze per un aumento di capitale dell’Ilva (ipotesi poi abbandonata perché a rischio infrazione Ue per aiuti di stato) e poi contro l’emissione obbligazionaria suddetta frutto di modifiche parlamentari al decreto “Salva Ilva”del 2015 (che avrebbe un profilo meno contraddittorio agli occhi dell’Europa). Il gip aveva rigettato le obiezioni di illegittimità costituzionale, ma i legali hanno impugnato il rigetto dell’eccezione di anticostituzionalità la settimana scorsa chiedendo quindi di rimandare la decisione alla Corte costituzionale.
In assenza di una sentenza definitiva e con una furiosa battaglia legale in corso bisogna dunque chiedersi cosa ne pensa la banca Ubs di Zurigo di accordare alla giustizia italiana il concreto trasferimento dei beni di cui è depositaria per di più con il rischio di incorrere in perdite essa stessa in quanto non è certo né noto il grado di rischio delle obbligazioni; in ogni caso sarebbe un investimento forzato. Il legali di Ubs non danno chiarimenti al Foglio su indiscrezioni non confermate circa una loro collaborazione con la giustizia italiana. E’ interessante notare che l’ufficio ricerche di Ubs conosce a fondo la vicenda Ilva: l’anno scorso pubblicò il report choc “Ilva’s future, Eu steel’s destiny” che invocava la chiusura del sito tarantino come soluzione alla sovracapacità produttiva europea (“una cattiva notizia per i dipendenti ma a beneficiarne saranno tutti gli altri [produttori]”).
Nota rilevante: Eurofer, associazione dei produttori d’acciaio europei, a trazione tedesca, giovedì ha approfittato dell’assenza accidentale dell’italiana Federacciai alla riunione dell’ufficio di presidenza per presentare reclamo ufficiale presso la direzione concorrenza della Commissione europea affiché apra un’indagine per aiuti di stato all’Ilva. "Eurofer sostiene che i circa 2 miliardi di euro assegnati all'azienda dalle autorità italiane non siano compatibili con il trattato Ue e con le regole Ue sugli aiuti di stato", dice Reuters. Va aggiunto che nelle guidelines di Eurofer viene espressamente proibito ogni tipo di cartello, cospirazione, accordo, accordo informale, pratica concertata e ogni forma di coordinamento tra le varie aziende presenti nell'associazione con l'obiettivo di ledere direttamente altre aziende. L'iniziativa del reclamo presentata da Eurofer giovedì è identica nella forma e nel contenuto a quella presentata ad aprile dall'associazione dei siderurgici tedeschi da parte di Hans Jurgen Kerkhoff, il presidente della WV Stahl, sorge quindi il dubbio che la sua linea sia stata portata avanti dal ceo della ThyssenKrupp, Heinrich Hiesinger, proponente dell'azione legale contro Ilva in seno all'ufficio di presidenza e quindi pare difficile smentire l'esistenza di un cartello o di un'accordo tra aziende tedesche. Un altro punto delle guidelines di Eurofer specifica chiaramente che Eurofer non può adottare nessun tipo di decisione o posizione su argomenti sensibili nella sfera della competitività e del mercato in particolare quelle riguardanti la condotta futura dei membri di Eurofer in tema di mercato e competitività. Ilva fa parte di Federacciai che è membro a pieno titolo di Eurofer, sembra difficile non sostenere il fatto che la scelta di presentare reclamo proprio alla direzione concorrenza e proprio in materia di aiuti di stato non abbia effetto sulla condotta futura di Ilva.
[**Video_box_2**]Al di là degli sgambetti tedeschi, il successo dell’operazione finanziario-giudiziaria dipende l’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale che porterebbe al dissequestro degli impianti da parte della procura di Taranto, e quindi la sopravvivenza del principale stabilimento siderurgico nazionale che ora produce ai minimi storici per quantità e qualità. Fiat-Chrysler Automobiles, cliente storico, ha comunicato in una lettera del 2 marzo la sospensione dell’acquisto dei laminati Ilva. S’affiderebbe a un produttore coreano. La chiusura del sito da oltre 11 mila addetti determinerebbe costi imponderabili in termini di ammortizzatori sociali.
Se i giudici possono dire “abbiamo un’acciaieria”
La convinzione che i beni sequestrati fossero nella pronta disponibilità dei giudici ha spinto esponenti del governo Renzi e il premier stesso a dire a più riprese che la soluzione era vicina. Perché questa sicumera? Bisogna chiederlo al “deus ex machina” dell’operazione, il procuratore aggiunto di Milano e responsabile del pool reati finanziari, Francesco Greco, che è impegnato sulle indagini a carico dei Riva e allo stesso tempo è suggeritore presso l’esecutivo, in fase di stesura del decreto “Salva Ilva”, e presso il Parlamento, consigliando di emendare il testo introducendo l’invenzione del meccanismo obbligazionario.
Il giudice del caso singolo suggerisce una legislazione specifica per ottenere forse la più efficace persecuzione del suo indagato e la realizzazione di scopi ritenuti utili dal governo? L’apparenza a volte inganna, ma in questo caso spaventa. Perché se un imprenditore fa attività lobbistica per ottenere provvedimenti legislativi favorevoli rischia una censura penalmente rilevante e se lo fa un magistrato nessuno percepisce l’usta del conflitto d’interessi? Per assurdo dobbiamo desumere che derogare al princìpio della separazione dei poteri, cardine delle istituzioni repubblicane, sia dunque una prassi da considerare assodata, condivisa e quindi assimilata dall’ordinamento?