Obiezioni (tedesche) al trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti
Milano. I leader dei sette principali paesi industrializzati (G7), riuniti in Baviera lo scorso fine settimana, hanno auspicato la chiusura entro l’anno dell’accordo sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), il trattato sul commercio e sugli investimenti che punta a rendere l’Unione europea e gli Stati Uniti un’unica grande area di libero scambio. Ieri, però, una prima battuta d’arresto. Simbolica ma importante, soprattutto perché rivelatrice di malumori che si rafforzano anche tra opinione pubblica ed élite della prima economia del continente, quella tedesca. E’ stata infatti rinviata la votazione consultiva del Parlamento europeo su una risoluzione sul Ttip prevista per oggi, per via di divisioni nei principali partiti, socialdemocratici e popolari.
Il vantaggio per l’Europa è stato quantificato in 120 miliardi di dollari l’anno. Nonostante ciò, il trattato è inviso a molte associazioni e organizzazioni non governative. Il dibattito è acceso soprattutto in Germania. L’economista e politologo tedesco Christoph Scherrer, autore della pubblicazione “The Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip): Implications for Labor”, ritiene che l’accordo rischia di aumentare le diseguaglianze sociali in quanto rappresenta un ulteriore affondo nella frattura tra “ricchi e poveri” scavata dal potere della finanza. Scherrer, direttore esecutivo dell’International Center for Development and Decent Work dell’Università di Kassel, centro d’eccellenza fondato dal ministero federale tedesco della Cooperazione economica e lo sviluppo, rileva che “al tavolo dei negoziati non è stata invitata la società civile che quindi sosterrà il costo del trattato – ha detto parlando al Foglio a margine del Festival dell’Economia di Trento – Le accuse di poca trasparenza sono fondate. Ora ce n’è di più, ma ormai è tardi, l’agenda è fatta. In passato si parlava semplicemente di tariffe ma ora il Ttip tocca tutte le attività economiche e quindi coinvolge la protezione dei dati, la sicurezza dei consumatori, il settore pubblico e le condizioni dei lavoratori”. Scherrer ha coniato l’espressione “doppia-egemonia” per descrivere la connessione tra l’egemonia degli Stati Uniti con quella della borghesia internazionale. Secondo Scherrer, il processo di finanziarizzazione dell’economia globalizzata sta “catturando una larga quota della creazione di ricchezza della società”. Per contrastare il fenomeno, dice lo studioso, è necessario che la politica rivendichi il suo primato sul potere finanziario offrendo risposte concrete ai bisogni dei cittadini, ad esempio la casa, e limitare l’influenza delle lobby sull’agenda politica. Ma il Ttip va in direzione opposta, dice Scherrer: grazie al meccanismo dell’Investor-state dispute settlement (Isds) – il meccanismo per la risoluzione delle dispute tra stato e investitori – fornisce un’arma potente alle multinazionali perché permette loro di bypassare il proprio governo in caso di controversie legali connesse agli investimenti internazionali e quindi di aggredire direttamente il paese sovrano che ritengono abbia leso i loro interessi attraverso un tribunale commerciale costruito ad hoc.
[**Video_box_2**]Per fare un paragone, si replicherebbe quel rapporto di forza esistente oggi tra stati fortemente indebitati e colossi finanziari che sono i maggiori compratori dei titoli di stato. La risoluzione al vaglio del Parlamento Ue, predisposta dal tedesco socialdemocratico Bernd Lange, presidente della Commissione Commercio, pur intervenendo sul funzionamento dell’Isds non ripara le falle. “Ritengo – dice Scherrer – sia un testo che è molto inferiore alle necessità. Le proposte di modifica, non sono sufficienti a prevenire i problemi. E poi dobbiamo vedere cosa diranno gli Stati Uniti”. Ma davvero cancellare la clausola Isds riporterà l’equilibrio tra imprese onnipotenti e stati indifesi? In realtà, secondo l’Unctad, su 356 arbitrati conclusi in base a questo tipo di clausola, alla fine del 2014 il 37 per cento delle decisioni finali è stato favorevole agli stati sovrani, il 25 per cento favorevole agli investitori, nel 28 per cento dei casi si arriva a una conciliazione.