Chi comanderà nelle banche liberate dal controllo delle Fondazioni
Roma. Dal graduale logoramento delle Fondazioni bancarie nella banca genovese Carige e in quella senese Monte dei Paschi, uscite malconce dagli stress test della Banca centrale europea e da questa costrette a chiedere ai soci ulteriori iniezioni di capitale nelle ultime settimane, emerge un nuovo assetto azionario dove a dominare non sono più gli enti locali ma gli imprenditori, i notabili o i fondi d’investimento. In Carige lo schema è quadripolare. Vittorio Malacalza, poliedrico imprenditore passato dall’acciaio alle gomme di Pirelli e ai semiconduttori, da azionista di maggioranza relativa con la holding di famiglia Malacalza Investimenti (14,9 per cento) può permettersi di giocare da mazziere. Ha voluto mantenere in vita la Fondazione Carige (scesa al 2 per cento) stringendo con essa un patto parasociale a condizione che si occupi del territorio ligure e basta. L’imprenditore piacentino di nascita, genovese d’adozione, ha così compiuto la sua personale rivincita verso i potentati locali capeggiati fino al 2014 da Giovanni Berneschi, ex dominus della banca travolto dagli scandali. Seduto su un miliardo di liquidità personale, non esclude di comprare ancora fino al limite della soglia dell’Opa, e può determinare le alleanze future con tutti gli altri soci verso i quali ha un “atteggiamento inclusivo”. Altri tre azionisti, altri tre poli al momento distinti. Il primo è rappresentato da Gabriele Volpi, imprenditore della logistica petrolifera in Nigeria, secondo socio della banca (5,1 per cento) con il Summer Trust, trust familiare che opera con la panamense Compania Financiera Lonestar; è vincolato restare sotto al 10 per cento se non vuole rivelare alle autorità di Borsa i soci delle sue holding off shore. Poi c’è Aldo Spinelli, imprenditore della logistica, al momento con una quota minima, notabile genovese, amico di vecchia data di Malacalza. Il terzo “nocciolino” è costituito dalla Coop Liguria assieme alle Fondazioni di Carrara e Savona (5,5 per cento).
A Siena invece lo schema è bipolare ma l’assetto è cangiante. L’ultimo aumento di capitale, imposto dalle autorità di vigilanza europee – Bce, Commissione europea, European banking authority –, da cinque miliardi di euro, il secondo nel giro di un anno, viste le condizioni onerose ha fatto sì che non tutti gli azionisti potessero aderire determinando un grande rimescolamento nella compagine. Lunedì prossimo, ad aumento ormai chiuso, i nuovi titoli saranno negoziabili e si capirà se sono presenti nuovi soci rilevanti, che quindi dovranno comunicare le quote in loro possesso se superiori al 2 per cento. Le sorprese non sono da escludere. La Fondazione Monte Paschi è scesa ai minimi storici (1,5 per cento) ed è da vedere quale quota conserverà assieme ai soci pattisti Btg Pactual e Fintech. La holding Millenium Partecipazioni dell’imprenditore Alessandro Falciai è molto attiva in questa fase e ha una visione positiva sulla situazione economica e patrimoniale della banca, come il management d’altronde. Millenium (1,3 per cento, per ora) gioca un ruolo da azionista attivista: ha quattro posti in cda e in passato ha invocato un piano industriale coraggioso. Falciai da patron di Dmt, oggi EiTowers, società delle torri di telecomunicazioni di cui ha venduto le sue partecipazioni, aveva una consuetudine con i grandi fondi americani, come BlackRock, e da azionista del Monte ha auspicato “che si crei una base di investitori istituzionali anche dall’estero”. Non è da escludere che possa essere scelto come polo aggregante dagli investitori americani rimasti finora in osservazione. La Fondazione senese aveva fatto il bello e il cattivo tempo, ora dovrà occuparsi del territorio e lasciare la gestione della banca a soci professionali.