Corte europea pro Draghi
Il quasi crac greco svela il lato minaccioso della condivisione dei debiti
Roma. “Il tempo scopre la verità”, scriveva Seneca. Dopo cinque mesi di trattative, dovremo attendere ancora un po’ per conoscere l’esito definitivo dei negoziati tra Grecia e creditori internazionali (stati europei, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale). Ieri infatti, mentre il premier ellenico Alexis Tsipras imputava al Fmi una “responsabilità criminale” per quanto avvenuto nel paese, la cancelliera tedesca Angela Merkel ammetteva di “non poter dire” se giovedì prossimo sarà raggiunto un accordo al vertice dei ministri delle Finanze dell’Eurozona in Lussemburgo. Meno tempo, invece, sarà necessario affinché l’opinione pubblica europea realizzi un fatto: che condividere i rischi e i debiti tra paesi membri della moneta unica sarà pure un’idea efficace e solidale, ma può essere costosa. Se Atene non convincerà i creditori con i suoi sforzi riformatori, non riceverà i soldi necessari a ripagare 1,6 miliardi di euro al Fmi entro il 30 giugno; in questo modo verrebbe costretta al default (cioè al mancato pagamento dei debiti) verso il Fmi e a cascata verso i Fondi salva stato e i prestiti bilaterali che hanno un grado inferiore di “seniority” rispetto all’organizzazione di Bretton Woods. Le variabili in gioco sono troppe per fare previsioni accurate; l’unica certezza è che a pagare il conto, in caso di default parziale o totale di Atene, sarebbero i creditori, cioè, a oggi, gli stati europei e quindi i loro contribuenti. Inclusi quegli stati e quei contribuenti che per anni, nel tentativo di temperare l’austerity giudicata troppo rigorista di Merkel&co., non hanno fatto altro che chiedere la “condivisione” di rischi e debiti: sotto forma di Eurobond, o di assicurazione europea contro la disoccupazione, eccetera. Adesso però la “condivisione dei rischi”, greci in questo caso, ci potrebbe presentare il conto da pagare. Apparendo all’improvviso meno attraente.
“Infliggere perdite ai creditori, e quindi in questo caso ai contribuenti europei, non appare nemmeno uno scenario così estremo – dice al Foglio Ambrose Evans-Pritchard, columnist economico del Telegraph – Al punto che per la prima volta un esponente del Fmi, il capoeconomista Olivier Blanchard, suggerisce ufficialmente un nuovo haircut sul debito ellenico”. Dove “haircut” sta per “default parziale” e auspicabilmente “controllato”. “La decisione di far entrare i contribuenti europei nel pantano fu presa dai leader creditori nel 2010. Perché allora bisognava salvare le banche tedesche e francesi”. E perché l’Eurozona “non era dotata ancora di un prestatore di ultima istanza. Oggi che un haircut del debito è più verosimile, si comincia a vedere il pantano. Ai contribuenti europei, finora ignari, viene presentato il conto del terribile accordo stilato nel 2010 per evitare allora una robusta riduzione del debito pubblico greco”, dice il commentatore euroscettico. Ieri, finalmente, una notizia positiva da un altro fronte: la Corte di giustizia dell’Unione europea, presieduta dal giudice greco Vassilios Skouris, ha sentenziato che il programma Omt di acquisto dei titoli pubblici – annunciato da Mario Draghi nel 2012 per impegnarsi a fare “whatever it takes” per difendere l’euro – è “compatibile con il diritto dell’Unione”. La palla torna nel campo della Corte federale tedesca che deve giudicare sui ricorsi presentati da migliaia di cittadini. “Ma un via libera era talmente scontato che la decisione non avrà effetto sui mercati e sui pourparler con Atene”, dice Evans-Pritchard.
[**Video_box_2**]Giampaolo Galli, parlamentare del Pd e già direttore generale di Confindustria, da giorni sottopone una provocazione alla sinistra-sinistra, nel Pd e non solo: “Siete pronti ad autotassarvi di 20 miliardi per Atene?”. “D’altronde la solidarietà ha un costo – dice al Foglio – E condividere i rischi può essere appunto rischioso”. Galli si autotasserebbe? “Default caotico e uscita dall’euro di Atene sono le ipotesi peggiori. Tsipras deve cambiare verso sulle riforme. E noi dire chiaramente agli italiani che oggi ‘meno austerity’ per i greci vuol dire ‘più austerity’ per noi”.