Tsipras, abbiamo un (altro) problema
Roma. Ci sono gli analisti del Fondo monetario internazionale, secondo i quali le proposte del governo greco – quelle che due giorni fa hanno reso un po’ più ottimista la Commissione europea sulla possibilità di un accordo entro la fine della settimana – non garantirebbero ancora la sostenibilità del debito pubblico del paese. Ci sono i conservatori europei, secondo i quali le misure presentate da Atene sono soltanto una base di partenza in vista di un accordo definitivo. Poi ci sono alcuni parlamentari di Syriza, quelli delle correnti interne più radicali, che già rumoreggiano sull’onore perduto. E poi ci sono alcuni economisti indipendenti greci che, consultati dal Foglio, sollevano un dubbio di tutt’altro tipo: possibile che il premier Alexis Tsipras, tutto concentrato sulla ricerca di un’intesa con i creditori internazionali, non abbia fatto i conti con gli effetti (negativi) di quell’intesa sull’economia reale?
Angelos Tsakanikas è il direttore per la ricerca dello Iobe, Fondazione per la ricerca economica e industriale, uno dei pochi think tank greci totalmente finanziato da imprenditori privati: “Se è vero quanto trapelato finora, il piano offerto dal governo greco rischia di avere ulteriori effetti recessivi sull’economia nazionale – dice Tsakanikas al Foglio – Semplicemente perché il filo conduttore delle misure di cui si sta discutendo è il solito, quello del sentimento anti impresa”. Lo studioso, che è anche professore alla National Technical University di Atene, si riferisce per esempio all’aumento dei contributi previdenziali che gravano sul costo del lavoro, all’incremento dell’Iva, o alla tassa di solidarietà per i redditi superiori a 30 mila euro e per le società con utili superiori a 500 mila euro. “Non c’è discussione, intendiamoci, tutto ciò è sempre meglio del default del paese o dell’uscita dalla moneta unica – dice Tsakanikas – Ma per ragioni ideologiche l’attuale governo ellenico ha ritenuto che tutte le attività produttive nel nostro paese andassero ulteriormente penalizzate”. Non che se ne sentisse il bisogno, visto che dopo una crescita del pil greco dello 0,8 per cento nel 2014, quest’anno la Commissione Ue prevede uno striminzito più 0,5 per cento, mentre altri osservatori mettono addirittura in conto una ricaduta nella recessione. “Se da Syriza ci si poteva attendere questo approccio ideologico, che preferisce per esempio parlare di innalzamento delle aliquote invece che di lotta all’evasione, meno comprensibile è il fatto che le organizzazioni internazionali e l’Europa abbiano consentito ad Atene di proseguire su questa strada fallimentare”, dice il capo economista dello Iobe. Tsakanikas spera almeno che siano fondate le voci di ieri, secondo cui la Commissione Ue starebbe già lavorando a un piano di investimenti per la Grecia da 35 miliardi di euro fino al 2020. Sempre a patto che si raggiunga un accordo sulle riforme da qui al 30 giugno, quando scade il tutoraggio internazionale e quando Atene dovrà restituire 1,6 miliardi al Fondo monetario internazionale.
[**Video_box_2**]Michael Mitsopoulos, capo economista della Sev, la Confindustria greca, ieri era a Roma per intervenire alla ventisettesima edizione del Villa Mondragone International Economic Seminar, organizzato dalla Fondazione Economia Tor Vergata del professore Luigi Paganetto e al quale oggi interverrà il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Il Foglio, a margine del seminario, ha chiesto a Mitsopoulos una prima valutazione delle misure proposte da Tsipras: “Puntare ad aumenti di gettito fiscale, in un paese in cui già dal 2010 le tasse sono diventate più alte che nel resto d’Europa e in cui le imprese si approvvigionano sul mercato del credito a tassi proibitivi, vuol dire continuare a indebolire il tessuto produttivo di quel paese”. Mitsopoulos, autore insieme a Theodore Pelagidis del libro “Understanding the Crisis in Greece” (Palgrave), precisa di parlare a titolo personale: “La scelta, a oggi, di non proporre a Bruxelles misure radicali di riforma della Pubblica amministrazione o di liberalizzazione di alcuni settori dell’economia, è perfettamente coerente con il modo in cui la produzione e l’economia private sono state trattate negli ultimi 30 anni in Grecia. Cioè con un approccio medievale, timoroso che dal libero gioco degli spiriti animali possano discendere minacce per chi detiene in maniera consolidata il potere”. Finora, dunque, il radicale Tsipras pare poco radicale nella gestione della fase post intesa, “cioè nella trasformazione della Grecia in un paese minimamente competitivo – conclude Mitsopoulos – Ma il problema è anche dell’Europa: se non riesce a far invertire rotta alla piccola Atene, cosa accadrà un domani con una crisi un minimo più grave?”.