Cosa può fare ancora Renzi per rilanciare il credito. C'entra la nuova Cdp
Il governo Renzi ha recentemente varato alcune misure volte a favorire la pulizia dei bilanci bancari. Gli oltre 300 miliardi di euro di crediti dubbi che l’industria bancaria deve gestire costituiscono un peso gravoso, tra i più alti in Europa, come evidenziato da Ignazio Angeloni, componente del Consiglio di sorveglianza della Banca centrale europea, in un’audizione parlamentare. Rimuovere parte di questo peso è nell’interesse dell’intera collettività se si vuole finalmente far ripartire i finanziamenti bancari. Gli interventi definiti sono quelli che auspicavo su queste colonne già alcune settimane fa. Si è provveduto a rimuovere lo svantaggio fiscale che permetteva la deduzione delle svalutazioni sui crediti nell’arco di 5 anni, ponendo invece come nuovo limite 12 mesi. La norma, pur se valida solo per i nuovi accantonamenti al fine di evitare un eccessivo aggravio sui conti pubblici, avrà riflessi positivi. Le banche potranno accantonare maggiori risorse a fronte dei crediti dubbi, e ciò permetterà di cedere sul mercato questi finanziamenti a un prezzo più basso di quello domandato in precedenza.
Positivo è anche l’intervento sulla giustizia civile, con la semplificazione delle procedure concorsuali ed esecutive. Tenuto conto delle annose difficoltà nel riformare la giustizia italiana, andrà però seguita attentamente l’implementazione di queste modifiche, monitorandone l’efficacia. Questo secondo intervento indurrà gli operatori specializzati nella gestione dei crediti non performanti ad accettare prezzi di acquisto più elevati. Ad ogni modo, la distanza tra domanda e offerta nel segmento delle cartolarizzazioni dei crediti dubbi è così elevata che difficilmente basteranno queste due misure per rimettere in moto un mercato pressoché inesistente negli ultimi anni.
La costituzione di una bad bank rimane ancora la carta vincente da giocare per affrontare in modo radicale e risolutivo il problema. Al riguardo, le esperienze di altri paesi, e in particolare dell’Irlanda, con Nama, e della Spagna, con Sareb, indicano come e quanto questo strumento possa essere efficace. Nama, nell’arco di pochi anni di operatività, ha già ceduto sul mercato asset per circa 19 miliardi di euro, mentre Sareb ha ricollocato più di 8 mila unità immobiliari per un controvalore di 2,5 miliardi di euro. Non è quindi un caso se i test condotti dalla Bce sulla robustezza dei bilanci delle banche europee abbiano visto bocciate solo una banca irlandese e una spagnola, entrambe di dimensioni contenute, mentre 9 istituti in Italia e 3 in Grecia – entrambi paesi che non hanno adottato una bad bank – non hanno superato i test in prima battuta. Anche il fatto che una qualche forma di bad bank sia stata adottata da molti paesi europei, inclusi quelli più in salute come Germania e Regno Unito, la dice lunga sull’efficacia di un simile strumento. La funzione primaria di questi veicoli è infatti quella di togliere sabbia dagli ingranaggi del mercato, tant’è che la Banca d’Italia ha stimato come circa il 40 per cento dello stock di crediti in sofferenza intermediati sui mercati in cui sono state costituite delle bad bank siano transitati proprio attraverso questi veicoli.
[**Video_box_2**]Purtroppo in Italia si è perso molto tempo su questo fronte e se si fosse intervenuti prima l’uscita dalla recessione sarebbe stata più veloce. Ora che anche le norme europee sugli aiuti di stato sono diventate più rigide, gli spazi per intervenire si sono fatti più stretti. Permangono tuttavia ancora delle possibilità. Come proposto nell’ultimo Rapporto banche del Centro Europa Ricerche (Cer), i capitali per la costituzione di una bad bank potrebbero essere offerti dalla Cassa depositi e prestiti, recentemente oggetto di un cambio al vertice che prelude a un suo maggior attivismo, oltre che da investitori privati. Nel novero di questi ultimi potrebbero essere sollecitate a intervenire le Fondazioni bancarie, che potrebbero apportare parte delle loro quote di partecipazione nel capitale delle banche. In definitiva, se alcuni passi sono stati compiuti, lunga è ancora la strada verso la normalizzazione del mercato del credito.
Carlo Milani è Analista del Centro Europa Ricerche