Operazione 40 miliardi
Una riduzione secca del prelievo fiscale di 40 miliardi di euro – questa la proposta del direttore del Foglio – è esattamente quello di cui l’economia italiana ha bisogno per ripartire. E fra le due versioni suggerite: una riduzione coperta da tagli di spesa equivalenti o una riduzione non coperta che faccia aumentare il deficit, va scelta quest’ultima, sia perché tagliare la spesa richiede tempo, mentre il sostegno della ripresa va fatto al più presto, sia perché se a fronte degli sgravi fiscali si tagliano le spese, l’effetto positivo sulla domanda si annulla del tutto. Lo si è visto lo scorso anno con gli 80 euro.
Naturalmente questa non è una scelta indolore. Le regole europee e gli impegni assunti dall’Italia non prevedono un deficit che salirebbe dal 2,5 per cento attualmente previsto al 4,5-5 per cento nei prossimi 12 mesi. Ma questo è un problema al quale è inutile girare intorno. Se si rispettano le regole europee, come finora ha più o meno fatto il Governo, è inutile sperare di fare ripartire l’economia a un ritmo adeguato a incidere sui livelli drammatici della disoccupazione raggiunti fra l’inizio della crisi ed oggi. Se invece si vuole davvero fare ripartire l’economia, bisogna andare a un livello del deficit visibilmente e consistentemente superiore a quello richiestoci dall’Europa. Bisogna sapere che questo può significare l’apertura di procedure di infrazione a nostro carico e forse anche problemi sui mercati finanziari.
Ma quello che è certo è che se non riparte la ripresa, non solo non scende la disoccupazione, ma si aggrava anche il rapporto debito – pil come è avvenuto in questi anni e si rischia in prospettiva una situazione finanziaria ancora più grave.
Il governo potrebbe e dovrebbe dire ai nostri interlocutori europei che l’Italia ha pagato la crisi economica internazionale di questi anni assai più duramente di altri paesi. Il motivo è che alla caduta mondiale della domanda si è aggiunta, all’interno, la contrazione del deficit pubblico chiestaci insistentemente dall’Europa e, a partire dal 2011, impostaci con la Presidenza del Consiglio affidata all’ex Commissario europeo Monti. Inizialmente si è cercato di addolcire la pillola con la favola dell’austerità virtuosa messa in auge accademica con i dati ballerini dei professori bocconiani. Ai dati a consuntivo, quella favola non ha retto. Ma nel frattempo l’Italia ha perso un quarto della produzione industriale ed ha visto crescere la disoccupazione dal 6,5 per cento del 2006 al 13 per cento dello scorso anno.
[**Video_box_2**]Anche la prima strategia del governo Renzi ha mostrato il fiato corto: rispettare le richieste europee e fare “le riforme” non ha fatto ripartire l’economia Non vi sono torme di imprenditori italiani e stranieri che, attratti dalle riforme, si siano precipitati a investire in Italia. Le riforme (alcune non tutte) sono utili nel medio periodo, ma l’economia per ripartire oggi ha bisogno di un vero sostegno costituito da un consistente sgravio fiscale,. Questo è il punto che non si può in lacun modo ignorare.
Nessun governo può godere di buona salute presso l’opinione pubblica se non è in grado di dimostrare per tabulas che il paese ha lasciato alle sue spalle la crisi, è ripartito a un ritmo sufficiente a far scendere il tasso della disoccupazione ed anche a migliorare la sostenibilità del debito pubblico che in questi anni è peggiorata.
Gli esiti elettorali dovrebbero dire al governo che nesso non ha più tempo da perdere. Deve sciogliere il dubbio sulla sua strategia economica di fondo. Deve chiarire se è disposto ad aspettare ed a fare aspettare il paese ancora a lungo, o se invece vuole tentare una strada difficile, ma che porterbbe alla ripresa, a una ripresa concistente e significativa.
Ha ragione il direttore del Foglio: hic Rhodus, hic salta.