Le mosse di Tsipras e le ragioni per dire “Forza Troika”
La Germania rifiuterà qualsiasi proposta in arrivo dalla Grecia fino all’esito del referendum popolare sulle trattative tra Atene e i suoi creditori indetto dal premier greco Alexis Tsipras per il 5 luglio. Le dichiarazioni della cancelliera tedesca chiudono una giornata di speculazioni e soprattutto smorzano la controproposta avanzata ieri dal governo greco: un terzo programma di aiuti per altri due anni finanziato attraverso il Fondo europeo salva stati (Esm). La rapida teleconferenza straordinaria dell’Eurogruppo, in serata, non ha dato risultati, oggi un’altra riunione. Di certo non sono stati concessi finanziamenti, né spazio alle tattiche greche. La Grecia, come previsto, verrebbe costretta al default in quanto incapace di pagare i debiti verso il Fondo monetario internazionale in scadenza a mezzanotte, e oggi si sveglia senza alcuna protezione. A decidere come continuare le trattative, con un sì o un no alla proposta dei creditori, saranno dunque i cittadini (ammesso che, come lasciato intendere ieri dal primo ministro maltese, il referendum sia confermato e non è nemmeno da escludere che Tsipras si schieri per il “sì” se otterrà concessioni). Intanto intellettuali e politici prendono posizione contro il partito del no alla proposta europea.
Tredici economisti greci con cattedre in università anglosassoni e tedesche tra cui il Nobel per l’Economia Chris Pissarides, cipriota, chiedono che Atene firmi un accordo per evitare il default, una “disastrosa” uscita dall’euro. Un accordo che parta dalle obbligazioni che Syriza ripudia: riduzione del settore pubblico, apertura alla concorrenza di settori chiusi, privatizzazioni, liberalizzazione del mercato del lavoro, riforma delle pensioni. Un piano degno della Troika, accettato il quale si potrà ragionare di ristrutturazione del debito. La lettera, pubblicata da Cnbc, suona come un controappello alla requisitoria contro le “politiche restrittive di austerità dei leader europei” firmata ieri dal Nobel Joseph Stiglitz (Columbia University), Thomas Piketty (Ecole d’économie de Paris), Massimo D’Alema (presidente Foundation for European Progressive Studies) e altri sul Financial Times. E che, a fronte di sollievi sul debito, non pone condizionalità. Sulla “restrittività” dell’austerity avrebbe da obiettare Mariano Rajoy. Il premier spagnolo può infatti permettersi di bacchettare Syriza, affinché Podemos intenda.
La Spagna ha adottato le prescrizioni della Bce (lettera del 2011, gemella di quella italiana) e i risultati le danno ragione: è tra le economie più forti dell’Europa continentale (pil all’insù del 2,9 per cento, ma potrebbe arrivare al 3,5, a fine anno). Ieri Rajoy è stato il primo leader politico ad augurarsi che il referendum porti alle dimissioni del governo Tsipras (“se perde sarebbe una cosa positiva per la Grecia perché permetterebbe ai creditori di negoziare con un nuovo governo”). La Spagna non è la sola nazione a parteggiare per il “sì” – Italia, Francia, Germania hanno fatto lo stesso pubblicamente, Stati Uniti e Cina implicitamente – ma lo fa con particolare foga. Madrid incarna il successo degli interventi della Troika, in cambio dei quali ha ricevuto fondi per ristrutturare un sistema bancario debole. Il ministro delle Finanze, Luis de Guindos, candidato alla presidenza dell’Eurogruppo, è solito ergersi a baluardo dell’austerità espansiva (“la Spagna non è il problema dell’Europa, ma parte della soluzione”) da posizioni rigoriste. Le riforme del mercato del lavoro, reso flessibile secondo i desiderata degli investitori internazionali, hanno fatto della Spagna il secondo produttore d’automobili europeo dopo la Germania (17 stabilimenti di 10 case estere, relativo indotto per la logistica, operai con stipendi superiori alla media nazionale da 2 mila euro). In due anni di cura da cavallo ha creato le basi per dare corpo a un settore industriale a vocazione esportatrice; cosa che in Grecia manca del tutto. Da gennaio dell’anno scorso, punto di svolta con l’uscita del programma di assistenza europeo, il governo conservatore di Rajoy ha creato almeno 659 mila nuovi posti di lavoro, in crescita, riducendo il tasso di disoccupazione (dal 26,4 nel 2013 al 22 per cento di aprile 2015).
Il Portogallo, paese annoverato tra i cosiddetti “Pigs”, entrato sotto la procedura di bailout nel 2010 in concomitanza con la Grecia, è il più esposto in caso di Grexit per le difficoltà che ciò comporterebbe nel raccogliere capitali sui mercati a costi più elevati. Tuttavia Portogallo e Grecia sono gemelli diversi. Da quando Lisbona è tornata a finanziarsi sui mercati nel 2013 il governo è riuscito ad accumulare un cuscinetto finanziario per resistere a choc esterni e, confermando l’impegno a proseguire le riforme pattuite, sta esaurendo la restituzione dei prestiti ricevuti dal Fmi. Il governo di Pedro Passos Coelho, centrodestra, ha superato gli obiettivi prefissati nel programma di salvataggio per le privatizzazioni vendendo quote nelle partecipate pubbliche di aeroporti (Ana), energia (Edp e Ren), servizi postali (Cct) e in questi giorni sta facendo molto discutere la vendita della compagnia aerea Tap, l’Alitalia portoghese; la Grecia ha arrestato il processo di vendita del porto del Pireo. I partiti radicali lusitani sostengono che quelle di Coelho sono svendite, e che si poteva guadagnare di più. Tuttavia i tre movimenti politici alternativi non hanno la capacità d’interdizione di Syriza o di Podemos e soprattutto, mentre si va verso le elezioni di settembre e ottobre, nessuno di loro arriva a invocare una rottura delle relazioni con l’Europa né una diversa interpretazione del percorso di riforme concordato con i creditori visto che il paese cresce dell’1,5 per cento.
[**Video_box_2**]Chi, grazie alla ritrovata crescita economica, s’è garantito una posizione di forza nei confronti degli oppositori “tsiprioti” è il premier irlandese Enda Kenny, a capo della coalizione centrista. L’Irlanda, uscita dalla procedura di salvataggio, si sta dirigendo verso il terzo anno consecutivo di crescita. Le esportazioni verso i paesi extra-euro contano per il 66 per cento del pil, il doppio della Germania. Il settore turistico, non secondario in Irlanda (quanto in Grecia), è poi favorito dalla debolezza dell’euro, e l’affluenza nell’isola anglofona da inizio anno è cresciuta del 12 per cento. Il rimbalzo economico dovuto in particolare alla riduzione del settore pubblico (pil in su del 3,6 per cento quest’anno, rapporto debito/pil ridotto dal 123,2 al 109,7 per cento, disoccupazione al 9,8 dal 13,8 del 2013) potrebbe ridimensionare l’esuberanza dei cosiddetti progressisti del Sinn Fein, gemellati con Syriza e sostenitori di Tsipras. “Saranno costretti a distanziarsi da Syriza e da quella che, per come è stata costruita, è una strategia fallimentare della sinistra radicale, inequivocabilmente antiausterity”, ha scritto Kenneth Hardiman, manager di Goldman Sachs. E ora quello che è una sofferenza per la Grecia si trasforma in un’opportunità per l’Irlanda. Con l’imposizione dei controlli sui capitali che costringono i correntisti greci a limitazioni stringenti sui prelievi bancari, è la Merrion Vaults a offrire a prezzi scontati ai greci la possibilità di depositare denaro e preziosi nelle sue casseforti a Dublino. Uno dei proprietari di Merrion, Seamus Fahy, sta progettando di creare una filiale ad Atene perché, dice, “non è possibile trovare cassette di sicurezza in Grecia né per amore né per soldi”.