Pure la "nuova Europa" è frenata dalla demografia floscia
L'Europa è, per definizione, il Vecchio continente. Per la sua storia milleniaria, certo, ma sempre più anche per il grigio della capigliatura dei suoi abitanti. Un rapporto degli economisti americani di Wells Fargo sostiene che nemmeno la "nuova Europa", cioè i paesi del blocco centro-orientale, riuscirà a sfuggire al rapidissimo invecchiamento demografico. Con effetti potenti, ma negativi, sull'economia.
Iniziamo dalla Polonia, con i suoi quasi 39 milioni di abitanti. "L'economia polacca si contrasse bruscamente quando crollò il comunismo nel 1989. Dopo quegli eventi, l'economia impiegò parecchi anni prima di tornare a tassi di crescita economica robusti. In media l'economia polacca è cresciuta di meno del 3 per cento l'anno negli anni 90, anche se nella seconda metà del decennio i tassi di crescita hanno cominciato a superare il 6 per cento. La performance dell'economia ha continuato poi a migliorare lentamente, con un tasso di crescita di circa il 4 per cento per tutto il decennio precedente", cioè negli anni 2000. Dopo la crisi, il Fondo monetario si attende che dal 2015 al 2020 il paese crescerà in media del 3,6 per cento. Tassi invidiabili, certo, visti dall'Italia. Ma che partivano da una base di riferimento più bassa (oggi il pil pro capite è ancora di 14mila dollari), come ovvio, e che non sono destinati a durare troppo a lungo.
Uno dei problemi fondamentali, secondo Wells Fargo, è che "la popolazione polacca ha raggiunto il suo picco 15 anni fa, dopodiché ha attraversato un lento declino. La popolazione in età da lavoro (15-64 anni) in Polonia sta già declinando a un tasso dello 0,5 per cento annuo; l'Onu prevede che il tasso di declino diventerà addirittura dell'1 per cento nel prossimo decennio. Questo calo nella popolazione in età da lavoro contribuirà a ridurre il tasso di crescita negli anni futuri". Romania e Ungheria seguiranno su un sentiero simile. A proposito di Ungheria, "l'Onu stima che la popolazione in età da lavoro, tra 20 anni, sarà del 10 per cento inferiore rispetto a oggi".
Unica eccezione, in quel quadrante geografico, sembra essere la Turchia. Nel mercato degli "emergenti Europei", Ankara primeggia, con un pil di circa 800 miliardi di dollari nel 2014, a fronte dei 550 miliardi di dollari della Polonia (seconda classificata). L'economia turca, come si vede dal seguente grafico, ha comunque sofferto di enorme instabilità.
[**Video_box_2**]Ciò nonostante, scrivono gli economisti americani di Wells Fargo, "la Turchia ha un certo numero di fattori positivi a suo favore". Il primo si chiama "demografia". "La popolazione in età da lavoro, che noi definiamo come i residenti con età compresa tra i 15 e i 64 anni, sta crescendo a un tasso dell'1,5 per cento l'anno. Le Nazioni Unite stimano che la crescita di questa coorte di persone economicamente attive rimarrà positiva per i prossimi 25 anni o giù di lì". In Turchia, il fattore più temuto, rimane piuttosto l'imprevedibilità della vita politica. Un affare non da poco, considerata già l'incertezza di queste settimane post elettorali per arrivare alla mera formazione del governo.