Quei dossier che spingono a rottamare la tassa sulla prima casa
Roma. In questi mesi sulla scrivania del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, s’è accumulato un malloppo di contributi di enti, istituzioni, centri studi e saggi economici. Tutti dicono una cosa: la tassa patrimoniale globale sulla casa voluta da Monti nel 2011 per recuperare punti di deficit ha portato a un’oppressione fiscale insostenibile. I proprietari di immobili pagheranno dal 2012 al 2015 imposte di natura patrimoniale (Imu e Tasi) per 94 miliardi di euro, dice Confedilizia.
Abbiamo sbirciato tra le carte, ed è subito chiara la natura distorsiva dell’Imu verso i consumi, che non a caso sono fermi. Gli economisti Paolo Surico (London Business School) e Riccardo Trezzi (Federal Reserve) nello studio “Consumer spending and property taxes. Evidences from 2011 Italian Imu”, scovato per primo dal Giornale, dimostrano che il gettito ricavato dallo stato ha effetti ridicoli se confrontati con la drastica riduzione dei consumi che comporta. Per 1 euro versato all’erario, le famiglie hanno ridotto di 5 centesimi la spesa per acquisti di beni primari e di 43 centesimi per i beni durevoli. Quindi, per esempio, per 4 miliardi di gettito annuo sulla prima casa, il mercato automobilistico è stato prostrato assieme al suo indotto. Franco Modigliani, unico Nobel italiano per l’Economia, spiegava che la disponibilità a spendere dipende non solo dal reddito disponibile ma soprattutto dalle aspettative future di reddito e di patrimonio. Si può dunque capire perché l’Imu è altamente recessiva quando pende su una famiglia di giovani con mutuo a carico che convive con rate e scadenze fiscali; e quel che ciò comporta per la propensione alla spesa di una fascia di popolazione che dovrebbe fungere da motore dell’economia. La diminuzione del valore degli immobili e la sensazione di incertezza creata dalla minaccia di ulteriori aumenti d’imposte a essi relative ha poi costretto molti a rivedere il bilancio famigliare.
[**Video_box_2**]Dal 2012 le famiglie hanno cominciato a ridurre la quota di reddito destinata alla spesa che prima era maggiore, ha notato Luca Ricolfi in tempi non sospetti. Possedere un immobile – era Luigi Einaudi a ritenere che “terra e mattone” fossero la forma migliore di protezione del risparmio nel lungo termine – è diventato un peso. In cinque anni il valore dell’intero patrimonio immobiliare italiano è crollato, anche per effetto dell’ammortamento del peso fiscale, di 2.000 miliardi, secondo uno studio del professor Paolo Savona. Nel frattempo la tassazione patrimoniale è aumentata in media di 15 miliardi l’anno. Le banche hanno in pancia immobili in quantità, che appesantiscono i bilanci, e la perdita di valore ha ridotto di conseguenza la capacità di erogare credito e mutui; un circolo vizioso. Le banche faticano a liberarsi degli immobili in quanto l’appetito per le case e gli stabili commerciali è scarso: la “ripresa stenta a decollare” ancora nel primo semestre di quest’anno in 13 grandi città, dice appunto Nomisma. La variazione del patrimonio immobiliare non solo grava sui consumi ma ha ormai sfiancato il settore edilizio che ha abbattuto investimenti e operatività. E il numero di addetti passati dalla cassa integrazione alla disoccupazione è in aumento. “Keynes – dice Francesco Forte, ex ministro delle Finanze – suggeriva di scavare le buche per fare lavori pubblici inutili, qui si tratta di togliere di mezzo un’oppressione fiscale che in definitiva indebolisce l’intera economia”. (a.bram.)
tra debito e crescita