Perché i Pasdaran temono il deal

Gabriele Moccia
L'ingresso di investitori esteri nell'economia iraniana insidia gli affari delle Guardie della rivoluzione.

Roma. I Pasdaran amavano le sanzioni. Sotto la scure dell’embargo finanziario, energetico e commerciale hanno potuto mettere in piedi un sistema oligopolitistico tale da controllare tra il 30 e il 40 per cento dell’economia iraniana.  Ma, se è vero – come ha affermato ancora di recente il portavoce del dipartimento di stato, Marie Harf – che l’Iran utilizzerà la fine del regime sanzionatorio previsto dall’accordo di Vienna per ricostruire la sua economia, tutto questo mette a rischio gli affari del corpo delle Guardie della rivoluzione?

 

Il primo tassello a cadere potrebbe essere quello delle banche. La decisione di riammettere le banche iraniane nel circuito internazionale dei pagamenti Swift metterà certamente in difficoltà il sistema parallelo di transazioni che le banche vicine ai Pasdaran avevano messo in piedi negli anni. Due in particolare, la Mehr Bank e la Ansar Bank, si erano ormai specializzate nel transare flussi tra l’estero e Teheran, nonostante l’embargo al circuito Swift e il congelamento dei beni nelle sedi in Europa e negli Usa. E ora? Il mercato bancario in Iran vale circa 482 miliardi di dollari, peraltro diventato ormai asfittico a causa dell’inflazione e di un volume non irrilevante di crediti deteriorati, le stime della Banca centrale iraniana parlano di 32 miliardi di dollari. Per questo, non sono in pochi a spingere per una completa apertura alle banche straniere. Deutsche Bank (Germania), Bnp Paribas (Francia) e Banco Santander (Spagna) si sono già dichiarate pronte al loro ingresso. Anche la francese Société Générale, che aveva dovuto chiudere i battenti della sua filiale sotto le accuse di money laundering per conto degli ayatollah, è pronta ha riaprire.

 

Resta da vedere come reagiranno le guardie della rivoluzione a questo assalto. Molta della leaderhsip futura del presidente Rohani è legata a questo aspetto. Egli non ha mai nascosto le sue critiche contro il pesante sconfinamento delle forze rivoluzionarie nell’economia. L’altro grande baluardo dell’impero dei Pasdaran è il controllo del settore energetico: gas e petrolio. Dopo Vienna, sembrano lontani gli anni d’oro di Ahmadinejad, quando la holding delle Guardie, Khatam al Anbia, ricevette 50 miliardi di dollari in contratti per lo sviluppo dell’industria petrolifera del Golfo Persico. Uno dei più fidati collaboratori del presidente Rohani, il ministro del petrolio, Bijan Zangeneh, ha ingaggiato un duro scontro dentro l’Opec per rompere la logica saudita e degli Emirati del Golfo del tetto alla produzione. Il ministro di Teheran ha lanciato a Ryad due messaggi chiari. Il primo è che la Repubblica Islamica è pronta ad aumentare la sua produzione di 1 milione di barili al giorno entro sei o sette mesi. Il secondo riguarda proprio la partita sui prezzi. L’Iran “non è soddisfatto dei prezzi attuali del petrolio”, ha ricordato il ministro, per il quale un prezzo giusto dovrebbe aggirarsi attorno ai 75 dollari a barile. Zanganeh si è, quindi, lanciato alla ricerca di una strana alleanza con alcune major straniere, tra le quali ci sono Shell ed Eni, per riportare la National Iranian Oil Company (Nioc) alla massima produzione.

 

Una corsa contro il tempo. Ecco perché i contatti tra le autorità iraniane e, ad esempio, il ceo di Eni, Claudio Descalzi, sono via via aumentati nelle ultime settimane. Il vero assente sembra proprio Khatam Al Anbia, un po’ per il gap tecnologico che le sue sussidiarie scontano, un po’ (tanto) per la volontà politica di escluderla. Non è un caso la sostituzione della holding con una diretta sussidiaria della Nioc, la Arya Naft Shahab, per il completamento delle fasi 15 e 16 del mega giacimento di gas del South Pars. Non è un caso che il recente beauty contest lanciato dal ministero del petrolio per una serie di progetti di sviluppo della rete del gas, tra cui due importanti tubi – quello con il Pakistan e quello con l’Oman – sia destinato ad un centinaio di imprese straniere, come ha ricordato un portavoce del ministero.

 

[**Video_box_2**]Altro tema è quello delle privatizzazioni. Sempre sotto la presidenza Ahmadinejad, i Pasdaran hanno beneficiato della messa in vendita di una serie di società di stato, rastrellando quote sempre maggiori sul Teheran Stock Exchange. Secondo il Centro studi strategici del Majlis, il Parlamento iraniano, tra il 2005 e il 2006, durante l’ultima grande ondata di privatizzazioni, solo il 19 per cento delle società pubbliche messe in vendita è finito in mani private. Il 68 per cento è finito nel sistema cooperativo e mutualistico, vicino al sistema rivoluzionario militare, e il 12,5 per cento è finito direttamente nelle mani delle società dei Pasdaran.

 

Ora la partita potrebbe essere diversa, Rohani si è impegnato ad avviare un’altra stagione di privatizzazioni, questa volta però il panorama è cambiato. In Europa, soprattutto tra Francia, Germania e Italia è partita una gara agli investimenti esteri diretti. Ad agosto, per esempio, è prevista una importante missione commerciale italiana a Teheran, con alla guida il ministro dello sviluppo economico Federica Guidi e il ministro degli esteri Paolo Gentiloni. Come la prenderanno i Pasdaran? Nel 2004, quando l’Autorità per l’aviazione iraniana consegnò i lavori di rifacimento del Khomeini International Airport ad un gruppo di costruzioni turco ma, con la scusa di un rischio alla sicurezza nazionale, le Guardie della rivoluzione fecero irruzione nei cantieri e sequestrarono tutto, alla fine i lavori furono affidati alla ‘solita’ Khatam al Anbia.

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