Consigli pratici per superare in Europa la stupidità del 3 per cento
Al direttore - Nel suo intervento sul Foglio di sabato scorso, il Presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, individua interventi utili ad affrontare la crisi del progetto europeo e a sostenere l'impegno riformatore del governo italiano. In particolare, ha scritto il governatore, occorre una maggiore flessibilità del patto di Stabilità e occorrono politiche sociali moderne e condivise che non possono che essere considerate decisive oggi per aprire una fase nuova. Diversi segnali suggeriscono che, nonostante le lacerazioni, un’iniziativa simile potrebbe inserirsi in uno scenario favorevole, o almeno non completamente avverso.
Quando il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha annunciato mercoledì scorso un piano per la crescita in Grecia finanziato con 35 miliardi di euro – tra fondi strutturali e agricoli – ha di fatto seppellito un altro elemento dell'armamentario allestito negli anni della crisi per accontentare i falchi dell'austerità. Si tratta della regola per cui la Commissione può ottenere il congelamento dei fondi strutturali assegnati a un paese – e alle sue regioni – se questo non rispetta i suoi obblighi in materia di risanamento del debito pubblico. La norma passò tra lo sdegno di sindaci e governatori di mezza Europa, che la consideravano iniqua e inapplicabile. Alla prima verifica sul campo, il principio ha mostrato la sua assurdità e sarebbe stato molto difficile trovare a Bruxelles o nelle capitali virtuose qualcuno disposto ad annunciare ai greci che l'unico vero strumento europeo al servizio della crescita e dell'occupazione veniva congelato in attesa di maggiore chiarezza sui bilanci.
Questo passaggio apparentemente tecnico si inserisce in un cambiamento di rotta cominciato a fine 2014 con l'annuncio del famoso piano Juncker – la creatura prediletta dell'esecutivo di Bruxelles che promette di mobilitare 350 miliardi di investimenti privati con una garanzia di sedici miliardi di euro provenienti dal bilancio dell’Unione europea. Il nuovo corso è proseguito, a gennaio 2015, con la pubblicazione di una comunicazione della Commissione che chiarisce come applicare i "margini di flessibilità esistenti nel patto di Stabilità" per liberare investimenti. Fino a quel momento i margini erano "esistenti" ma molto vaghi e complicati. Un'ambiguità apprezzata soprattutto dai custodi del rigore, che potevano così avvallare qualche compromesso evitando scelte troppo nette, come l'invocata esclusione dal Patto di Stabilità del finanziamento nazionale e regionale di progetti sostenuti dai fondi strutturali dell'Unione europea. Ora sappiamo invece che i paesi impegnati a riformare welfare ed economia sono autorizzati a deviare temporaneamente dal percorso di rientro concordato con Bruxelles e che quella deviazione, in diversi casi, riguarda proprio il co-finanziamento dei fondi strutturali. Non solo, ma per incoraggiare i contributi degli stati membri al piano Juncker, la Commissione prevede la loro sostanziale – non temporanea – neutralizzazione ai fini del patto. In ballo ci sono risorse limitate ma, al di là della prudenza degli annunci, si stabilisce un precedente clamoroso: la "stupidità" del 3 per cento può essere superata per favorire interventi strategici. E se questo oggi vale per un piano su cui Commissione punta moltissimo, domani potrebbe riguardare altre iniziative.
[**Video_box_2**]In questo quadro, le proposte italiane di scambiare progressi sulle riforme con maggiore flessibilità del patto e di allestire politiche sociali innovative – come lo schema di assicurazione universale per la disoccupazione, evocato dal presidente Rossi – escono finalmente dalla categoria del "rivendicazionismo meridionale" e diventano opzioni strategiche da considerare con rispetto.
Il dibattito avviato dal Foglio assume così una rilevanza inedita. Da un lato contribuisce a un confronto nazionale che ha finalmente concentrato l'attenzione del Paese sulle riforme, dall'altro si collega a questioni destinate a imporsi in nell'agenda europea tra crisi, referendum e tentativi coraggiosi ma dalla sorte ancora incerta, come quello del presidente Juncker sull'immigrazione.
Pierluigi Boda è portavoce del comitato europeo delle regioni