Perché le start up greche vanno difese
La proliferazione di start up, intese come imprese giovani operanti in settori tradizionali ma con un elevato contenuto tecnologico, rappresenta – non da ora – il barlume di un risveglio imprenditoriale in un paese (ex) turboassistenzialista come la Grecia. Sono una risorsa da difendere.
Il Foglio ha raccontanto la storia di The Cube, uno spazio di coworking che ospita quasi 40 start up tecnologiche, sorta nella ex sede di una società di trading finanziario poi fallita. Ma è dai primi anni Duemila che, soprattutto ad Atene, sorgono piccole aziende innovative. Sono interdipendenti rispetto a settori rilevanti per l’economia ellenica – turismo, commercio navale, agricoltura. Il Financial Times fa notare che la controproducente azione di Tsipras stanno facendo vacillare le speranze dei giovani imprenditori (startupper) greci. E’ un peccato che l’iniziativa privata, la voglia di mettersi in gioco, venga frustrata in un paese che, certo come altri, Italia compresa, ha bisogno di credere alla promessa che deriva dalla diffusione di un approccio diverso che unito all’uso di tecnologie innovative può contrastare una cultura imprenditoriale clientelare adagiata sulla rendita. In parte è anche grazie all’immarcescimento di quel sistema che si sviluppano progetti nell’ambito dell’economia della condivisione.
Glossopolis è una start-up che offre ai turisti sconti su ristoranti e negozi e in cambio invita a imparare rudimenti di greco per “essere viaggiatori, non solo turisti”. Oppure Synathina, un progetto appoggiato dal comune di Atene, che attraverso una comunità online incentiva a mettere a disposizione e condividere conoscenze e risorse da parte di chi ha disponibilità a favore di chi ha necessità. Pareti di una scuola da dipingere? Un’azienda ha vernice in eccedenza, la cede, e alla manodopera ci pensano i (molti) writer di Atene. Anche questo emerge dalla crisi dell’Ellade. Non va sprecato.