Renzi ha invertito il nesso causale tra tasse e spesa. Ben fatto
Chi lo conosce bene, sostiene che Matteo Renzi sia “molto intelligente”. Il proposito manifestato dal presidente del Consiglio di fare entro un paio d’anni una rivoluzione copernicana nella politica fiscale alleggerendone la pressione ha ricevuto tre tipi di reazione: 1) apprezzamento acritico da chi, pur essendo stato in governi di centrodestra e avendo in passato espresso lo stesso intendimento, non ha saputo o potuto realizzare una simile rivoluzione; 2) scetticismo al centro sulla capacità di trovare la copertura finanziaria con tagli di spesa; 3) giudizio a sinistra di immoralità. Tutte queste tre reazioni sono sembrate dimenticare o non riconoscere l’intelligenza dell’uomo. Gli hanno quasi attribuito un passo falso. La relazione del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è suonata come una mezza correzione di tiro. Così non è.
Il punto di partenza secondo me è che Renzi finalmente, dopo un anno di governo (in fondo, sempre giovane è), ha toccato con mano due cose. In primo luogo, la crescita può essere solo figlia di un ritorno agli investimenti o, meglio più in generale, di un recupero della propensione al rischio da parte degli italiani. Stavo per dire degli imprenditori, ma così avrei circoscritto il concetto, perché imprenditore deve essere ogni singolo cittadino. E la propensione al rischio non deriva dalla congiuntura o dalla situazione internazionale, è a sua volta figlia di un fisco “normale”. Semmai, personalmente sono portato a confidare meno nell’effetto annuncio, cioè credo meno che basti annunciare una rivoluzione copernicana perché gli italiani tornino a investire. Temo che prima vogliano vedere il nuovo fisco e poi si rimbocchino le maniche. Questa posposizione collocherebbe il ritorno alla crescita in tempi biblici.
[**Video_box_2**]In secondo luogo, Renzi ha toccato con mano che non c’è granché da tagliare la spesa pubblica di parte corrente a perimetro inalterato e a comportamenti viziosi o malavitosi inalterati della mano pubblica. E che c’è poco da educare e moralizzare il paese. Su questo pure lui pensa che i tempi sarebbero biblici. Dunque, ha capito che per tornare a crescere occorra restringere l’area della presenza stessa dello stato, centrale e periferico. Ma questa ricetta sarebbe indigesta per un paese ultra-viziato. Critichiamo tanto i trentenni che vivono sulle spalle di mamma e papà, ma poi tutti noi, indistintamente, chi più chi meno, siamo bamboccioni e viviamo sulle spalle dello stato. Ecco, allora, che Renzi ha capovolto i concetti, scambiandone il nesso causale. Invece di dire: “Ritraiamo la mano pubblica e quindi di conseguenza riduciamo le tasse”, ha detto: “Facciamo una rivoluzione copernicana nelle tasse”. Punto. Senza dire come coprirla finanziariamente. Solo aggiungendo che serve un patto. Un patto per cosa, non si è sbilanciato a dirlo bene. Ma solo perché è molto intelligente. Hanno abboccato tutti: gli statalisti di centrodestra che hanno esultato come se loro fossero i primi a pensarla nello stesso modo; i sedicenti rigorosi di centro, che per non perdere il consenso degli italiani bamboccioni continuano a dire di voler tagliare la spesa senza ridurre il perimetro della presenza pubblica, quelli di sinistra che finiscono su posizioni conservatrici e vogliono mantenere i comportamenti pubblici malavitosi (altro che immoralità!); gli organismi europei, che si sono subito allarmati. Pier Carlo Padoan è intervenuto solo per chiarire il concetto a questi ultimi e, così, ha fornito involontariamente la giusta chiave di interpretazione del Renzi-pensiero.
Speriamo con questo nostro commento di non alimentare l’acidità di certe posizioni di sinistra. Non vorremmo fare danni al governo.
Riccardo Gallo è docente di Economia industriale all'Università La Sapienza