Non solo rimbalzo o fattore “C”. L'effetto riforme c'è
Roma. Alcune politiche sviluppiste del governo spagnolo, secondo l’annuncio di Matteo Renzi, potranno presto diventare una fonte d’ispirazione per Palazzo Chigi. Ma allo stesso tempo, se si presta ascolto agli economisti, quelle stesse politiche potrebbero offrire al nostro esecutivo l’occasione per un bagno di realismo. In queste ore, infatti, i ricercatori della boutique finanziaria francese Natixis si sono messi a far di conto, e sono arrivati alla seguente conclusione: se il prezzo del petrolio non fosse in calo dal 2014, e se l’euro nell’ultimo anno non si fosse deprezzato grazie alle politiche espansive della Banca centrale europea, soltanto un paese europeo avrebbe comunque visto lievitare il suo prodotto interno lordo, e quel paese è la Spagna. Senza oro nero a buon mercato e senza dollaro debole, nel primo trimestre l’Italia invece avrebbe fatto segnare una crescita negativa dell’1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014 (invece del più 0,1 certificato). Perfino la Germania, in questo scenario negativo, sarebbe rimasta in stagnazione. A Madrid, pure in assenza del fattore “C” che sospinge tutto il continente, il pil sarebbe cresciuto comunque dell’1,5 per cento nel primo trimestre rispetto a un anno fa. E’ una conferma, non la prima, del fatto che le riforme approvate dal 2011 a oggi dal governo conservatore di Rajoy hanno contribuito ad alimentare una crescita autopropulsiva. In altre parole: non si può fare a meno di considerare quelle riforme strutturali per spiegare un tasso di crescita del pil iberico che quest’anno supererà il 3 per cento. Quasi il quadruplo della crescita attesa dal governo Renzi per l’Italia. Qualcosa in più di un mero rimbalzo.
Il tasso di disoccupazione di Madrid è ancora elevatissimo: 22,3 per cento. Ma in rapida discesa dal 27,2 per cento di un anno e mezzo fa. I disoccupati sono circa 5 milioni in termini assoluti, però nell’ultimo anno sono stati creati oltre 510 mila posti di lavoro. Per l’Italia, che dal 2008 ha perso 9 punti di pil, c’è poco da consolarsi guardando agli spagnoli che di punti di pil ne hanno persi “solo” 5 e che alla fine del 2016 potrebbero recuperare tutto il terreno perduto. Tutto.
Il cambiamento più radicale impresso dal governo Rajoy è stato il capovolgimento del Derecho Laboral. Per decreto, senza concertazione con le parti sociali, l’esecutivo iberico decise già nel 2012 che certe norme giuslavoristiche dei tempi di Franco non erano più al passo coi tempi: da allora la contrattazione aziendale ha preso il sopravvento su quella collettiva nazionale, consentendo un riallineamento più rapido del costo del lavoro alla produttività dello stesso. Un mutamento così profondo, assieme alla tempestiva attivazione dei fondi di salvataggio europei per ricapitalizzare le banche travolte dalla bolla immobiliare, e in tandem con un debito pubblico che alla vigilia della crisi era molto più basso che in Italia, hanno spinto Bruxelles e i mercati a concedere più tempo a Madrid nell’opera di risanamento dei conti pubblici. Soltanto l’anno prossimo il rapporto deficit/pil spagnolo dovrà scendere al 3,5 per cento. Insomma, non si tratta propriamente di un “regalo”. Inoltre Rajoy, come pare aver intuito Renzi, sta utilizzando questo utilissimo spazio di manovra soprattutto per abbassare le tasse. La logica seguita finora è quella di ridurre le aliquote, aumentando la base imponibile. L’imposta sulle società, dal 30 per cento del 2014, si abbasserà progressivamente al 25 nel 2016. Le aliquote dell’imposta personale sul reddito diventeranno 5 (da 7) e scenderanno anch’esse; l’aliquota più bassa scenderà al 19 per cento dal 24,75, quella più alta scenderà dal 52 al 45 per cento. E a inizio luglio Rajoy ha tagliato ancora le tasse sul reddito: 1,5 miliardi di euro in più rimarranno nelle tasche dei cittadini da qui a dicembre.
Agendo da subito con decisione sul lavoro, pianificando in maniera credibile l’abbassamento della pressione fiscale: è indubbio che in questo modo Rajoy abbia inciso positivamente anche sulle aspettative delle imprese. E gli investimenti privati, in Spagna, sono tornati a salire già nel 2013. Prima che il prezzo del petrolio crollasse, prima che Mario Draghi parlasse di Quantitative easing. In Italia abbiamo dovuto attendere due anni.